di MARIO ARPINO -
ATTENZIONE, SE OGGI ci mettiamo a discutere su chi ha lanciato i gas a Khan Sheikun, rischiamo di cadere in
una trappola mediatica. Le convinzioni le lasciamo a quel coro di
benpensanti ‘politicamente corretti’ che, lanciando anatemi, puntano il dito contro Bashar al-Assad. Nessuno si può esimere, è il bersaglio più
facile. I gas si diffondono con vari mezzi: aerei, granate speciali (obici e
mortai), oppure, come nelle battaglie sul Carso, generatori posti sottovento.
Nella Coalizione che non solo combatte quella parte dei ribelli non presente
agli accordi di Astana, ma fa anche altre cose, gli aerei li hanno tutti. I
siriani, certo, ma anche i russi, i turchi, i sauditi e i qatarioti. I ribelli
no, né i ‘buoni’ né i ‘cattivi’. Le armi terrestri gassificanti, quelle, per
intenderci, sparite in massa nel 2011 dagli arsenali di Gheddafi, con alta
probabilità sono in mano ai ribelli jihadisti non-Isis. Restringendo il campo,
sembrerebbero nella disponibilità dell’ex al-Qaeda, ex al-Nustra e oggi
Jahbat Fatah al-Sham. Allora ragioniamo, partendo da Astana e da un
fondamentale quesito: cui prodest? Ovvero: a chi giova. Forse non arriveremo a
nulla, ma ci chiariremo un po’ le idee. In prospettiva, i ribelli del Free
Syrian Army (quelli ‘buoni’) avranno un loro limitato spazio a Nord, con tutela
turca. Assad e Putin mirano a distruggere (con la sporadica partecipazione
degli Usa) tutti i gruppi jihadisti, concentrati ormai nella provincia di
Idlib. Se perdono quell’area, sono praticamente finiti. Assad, se l’avanzata
prosegue, ha già la vittoria in tasca. L’offensiva, allora, va delegittimata
agli occhi del mondo con ogni mezzo. Indovinello: chi può aver interesse a
farlo?
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