Matteo
Renzi stasera, un minuto dopo avere ottenuto la fiducia, dovrebbe fare un gesto
fondamentale per la sua credibilità: dimettersi dalla società di famiglia. Renzi ha ottenuto il diritto alla pensione
grazie a un trucco: nel 2003, quando l’Ulivo decise di candidarlo alla Provincia di Firenze Renzi si fece
assumere dalla società di famiglia nella quale era un semplice collaboratore. La
Chil Srl si occupava di marketing e vendita dei giornali ai semafori con gli
strilloni. Il padre e la madre l’avevano fondata nel 1993 e
avevano ceduto nel 1997 le quote ai figli Matteo (40 per cento) e Benedetta (60
per cento). Quando matura la candidatura
alla Provincia, Matteo è solo un co.co.co. Se fosse rimasto un
collaboratore non avrebbe maturato i 10
anni di contributi pensionistici da dirigente né avrebbe avuto
diritto alle cure mediche gratuite e al Tfr. Per regalare questo vantaggio al
figliolo, babbo Tiziano e mamma Laura lo
assumono e lo pagano come dirigente per pochi mesi, per poi
metterlo in aspettativa.
Così i contributi sono a carico della
Provincia, e del Comune dal 2009, che nel 2013 pagava 3mila e 200 euro al mese per il suo sindaco.
Così, grazie a una somma stimabile in circa 350
mila euro versata dagli enti locali per lui in dieci anni, Renzi oggi è un trentenne fortunato dal punto di vista
assistenziale e pensionistico. Se non può essere definita una truffa allo Stato, quella realizzata
da Renzi, è una truffa alla ratio, allo scopo alto dello Statuto dei lavoratori
del 1970. Il dubbio che sorge leggendo la cronologia di quelle giornate è che
nel 2003 abbia usato la norma nata per garantire la partecipazione alle
elezioni ai lavoratori per ottenere una
pensione e un Tfr ai quali – fino a pochi giorni prima della
sua candidatura – non aveva diritto.
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