. Il presidente del
Consiglio: "Subito al lavoro". Quando il “nuovo” presidente del
Consiglio Paolo Gentiloni scopre il telo del suo governo, quasi ci
scappa lo sbadiglio. Ci sono volute quarantotto ore, un mezzo giro di
consultazioni di rito e le trattative al telefono e morale non è cambiato
niente (o quasi). L’esecutivo
fotocopia giura un’ora dopo l’annuncio della lista bollinata dal
Quirinale: tredici ministri restano, tre cambiano incarico e due sono new entry
(Anna Finocchiaro ai Rapporti con il Parlamento e Valeria Fedeli
all’Istruzione). Matteo Renzi passa la campanella con il sorriso tirato e tra i
fantasmi di quando era dall’altra parte della barricata, ma lascia a presidiare
Palazzo Chigi due dei suoi più fedeli: a sorpresa Maria Elena Boschi
e Luca Lotti. Gentiloni neppure si trasferisce: resta a vivere a casa
sua, che non sia mai che si abitui troppo al nuovo incarico che rigorosamente,
ripete, deve essere a tempo. Come nell’ormai più classico dei copioni Angelino
Alfano ottiene l’ennesimo ministero di peso (Esteri), al suo fianco ancora
i volti intoccabili di Beatrice Lorenzin e altri (da Dario Franceschini a
Giuliano Poletti fino a Marianna Madia). L’unico brivido lo danno i
verdiniani: restano fuori a sorpresa dalla spartizione delle poltrone e neppure
tra le minacce riescono a riprendersi, almeno, il posto che fu di Enrico
Zanetti. Insomma il
lascio la politica di Renzi, lo tsunami post vittoria del No al referendum, la
rivoluzione dell’andiamo tutti alle urne, non c’è. Tutti si alzano,
fanno un giro della stanza e tornano al loro posto. Il leader dem dalla
direzione Pd prende tempo, invoca il congresso ed è un po’ confuso sul futuro.
Si deciderà domenica, dice, quando fare il congresso. Mentre il partito cerca
almeno di ritardare l’implosione, la vera notizia è che al governo rimane
ancora lei, Maria Elena Boschi. La ministra che ha messo la faccia sulla
riforma della Costituzione, bocciata dalle urne, viene promossa a
sottosegretaria della presidenza del Consiglio. Poco conta che avesse promesso
più volte in favore di telecamera di lasciare la politica in caso di sconfitta:
non solo rimane, ma anche
in una delle caselle più importanti. Che sia per Renzi un modo per
commissariare il nuovo governo o meno, quello che è certo è che per ora è un
vero boomerang: le opposizioni la sommergono di critiche e in rete diventa il
bersaglio di ogni tipo di derisione. E’ andata peggio per un altro fedelissimo
del leader Pd: Luca Lotti. L’ex sottosegretario puntava alla delega ai
Servizi segreti, se ne va a letto invece con il ministero dello Sport e la
conferma della delega all’Editoria. Voleva di più? Sicuramente. Ma intanto è un
altro del giglio magico che da Palazzo
Chigi non si schioda. Nel caos del nulla è cambiato c’è una sorpresa: il
plurimputato Denis Verdini e i suoi restano fuori dai giochi. Le
ricostruzioni parlano di veti incrociati tra Pd e Ncd, ma, morale, quelli che
speravano di incassare il risultato di tanto sforzo nel sostenere la
maggioranza Renzi escono a mani vuote. Quando Ala ha capito che il ministero
sarebbe sfumato ha fatto un comunicato durissimo, tra minacce e pugni sul tavolo,
ma nessuno ha fatto una piega. A questo punto se i verdiniani non garantiscono
più i loro voti, per il governo Gentiloni i numeri si fanno stretti. Nel fare
la squadra si è anche voluto dare un segnale alla sinistra del partito. Entrano
infatti Finocchiaro e Fedeli che sicuramente sono tutto fuorché renziane.
L’idea è stemperare gli animi, far ritrovare una compattezza che sembra perduta
per sempre. Ma neppure il gesto salva dalla guerra all’ultimo coltello, tanto
che l’ex segretario Pierluigi Bersani ha subito parole di critica. Da segnalare
il discorso del quasi insediamento. Gentiloni parla del Sud, rivendica l’idea
di aver creato il ministero per il Mezzogiorno e la coesione territoriale
(affidato all’ex sottosegretario Claudio De Vincenti), ma non parla mai della
riforma della legge elettorale. L’esecutivo nasce quasi unicamente per quello
scopo, ma il messaggio è chiaro: il governo non ci metterà il cappello e
saranno quasi solo affari del Parlamento. Sottosegretaria
alla presidenza del Consiglio – Maria Elena Boschi, la
ministra delle Riforma di Renzi e volto del ddl che avrebbe dovuto modificare
la Costituzione, invece di lasciare la politica ottiene una delle poltrone più
influenti dell’esecutivo Gentiloni. Prima di lei la poltrona era occupata da Claudio
De Vincenti, che ora passa al neonato ministero del Mezzogiorno. E’ la prima
volta che una donna assume la carica di quello che è spesso indicato come il
“Richelieu”, l’eminenza grigia del premier. Nata 35 anni fa a Montevarchi, in
provincia di Arezzo, ma residente a Laterina, “Meb” (così la chiamano
nell’inner circle renziano e così si firma su Twitter) entra in Parlamento nel
2013. Ignota al grosso pubblico, i giornalisti l’avevano già conosciuta ai
diversi meeting che Matteo Renzi aveva organizzato alla Leopolda, di cui era
lei la coordinatrice e organizzatrice. A dicembre 2015 finisce al centro delle
polemiche per il ruolo del padre come vicepresidente di Banca Etruria, tanto
che le opposizioni presentarono una mozione di sfiducia contro di lei.
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