martedì 25 ottobre 2016

DELL’UTRI: UN’ INGIUSTIZIA CHE NESSUNO VUOL VEDERE.


Qualche giorno fa la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha respinto - tra poche righe vedremo perché - un ricorso dell'ex senatore Marcello Dell'Utri, il quale è in carcere da circa due anni e mezzo e dovrà restare in cella, se nessuno interviene, per altri cinque. Uscirà a ottant'anni suonati. Dell'Utri chiedeva l'applicazione, a suo favore, di una sentenza della Cedu (Corte Europea dei diritti dell'uomo) che esclude l'esistenza del reato per il quale Dell'Utri è stato condannato ("concorso esterno in associazione mafiosa") all'epoca dei fatti che gli sono contestati. Ieri è uscita la motivazione della sentenza ed è una motivazione che lascia molte perplessità. Proviamo a riassumere i fatti e poi a trarre qualche conclusione. Dell'Utri è stato accusato di essere stato per molti anni un punto di riferimento per Cosa Nostra. Si sono svolti molti processi e ci sono state molte sentenze, anche contrastanti tra loro. Alla fine Dell'Utri è stato assolto per tutti i fatti successivi al 1988, e condannato invece - a sette anni e mezzo - per concorso esterno, e cioè per avere stabilito rapporti con la mafia siciliana tra il 1979 e il 1988. Il problema è che il reato per il quale Dell'Utri è stato condannato - oltre ad essere difficilmente comprensibile nella sua stessa definizione certamente arzigogolata - non esiste nel nostro codice penale. Nel quale invece esiste, all'articolo numero 1, una precisa disposizione: «Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite».




E all'articolo 2esiste un'altra disposizione altrettanto precisa: «Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato». La questione dell'associazione esterna in associazione mafiosa è stata molte volte discussa, in sede accademica, in sede processuale, e anche dalla Corte di Cassazione. Più volte è stata considerata un'imputazione inapplicabile. Altre volte è stata invece applicata e si è arrivati anche alla condanna. La Corte di Cassazione in diverse occasioni ha dichiarato l'inesistenza del reato, in altre occasioni ha ammesso che il reato esiste.
Lasciamo da parte questa discussione, che sarebbe molto lunga, sulla possibilità di esistenza di un reato che non assomiglia a nessun altro tipo di reato esistente nei codici penali di ogni parte del mondo.
Resta il fatto che solo il 5 ottobre del 1994 la Cassazione giunse a una sentenza (sentenza Demitry) nella quale definisce il reato (come congiunzione di due distinti reati presenti nel codice penale) e solo questa sentenza fu considerata definitiva. Si stabilì (anche se restano molti dubbi, e in effetti poi la Corte tornò sullo stesso argomento in sentenze successive, ancora negli anni 2000) che la sentenza Demitry faceva - come si dice - giurisprudenza. Il problema è che esistono alcune persone che sono state condannate per reati precedenti al 1994. Tra questi l'ex dirigente del Sismi, Bruno Contrada e, ovviamente, Marcello Dell'Utri. Contrada ha fatto ricorso alla Cedu, e ha vinto. La sua condanna è stata cancellata dalla Cedu, che ha condannato l'Italia a risarcire Contrada. La motivazione della Cedu è chiarissima: perché il reato non esisteva, o comunque non era ben definito, negli anni precedenti al 1994, e dunque Contrada non poteva essere condannato, e condannandolo si sono violate le norme elementari del diritto.
Bene, Dell'Utri si trova esattamente nella stessa situazione. Perciò ha fatto ricorso e ha chiesto che la sentenza della Cedu si a applicata anche a lui, e di conseguenza ha chiesto di essere scarcerato. La Cassazione ha risposto di no e proprio ieri - come dicevamo - è uscita la motivazione della sentenza. Una quarantina di pagine, che molto puntigliosamente ripercorrono l'intera vicenda e spiegano perché la Corte d'appello non prese in considerazione l'ipotesi che il reato imputato a Dell'Utri non esistesse all'epoca dei fatti. Non la prese in considerazione perché valutò la sentenza Demitry del '94, non come una sentenza che -per cosi dire - istituiva il nuovo reato, ma invece come una sentenza che stabiliva che quel reato già esisteva, cancellando le precedenti sentenze tra loro contraddittorie. E perciò la Cassazione dice: non sta a noi, in questa sede, valutare il merito della sentenza d'appello. A noi, casomai, sta il compito di vedere se può essere applica una sentenza della Cedu diversa e opposta - nei principi - alla sentenza della Corte d'appello. Ma la sentenza della Cedu - spiega ancora la Cassazione - non stabilisce un principio, ma si limita a valutare nello specifico il caso Contrada. Da quella sentenza - dice la Cassazione - «non può trovarsi alcun principio di diritto utile alla soluzione del caso qui in trattazione, caratterizzato, in primis, dalla diversa soggettività tra l'istante (Dell'Utri Marcello) e il soggetto vittorioso in Strasburgo (Contrada Bruno) ».  Naturalmente chi scrive è un giornalista, non un professore di giurisprudenza, e non è in grado di valutare una sentenza così complessa in punta di diritto. Può valutarla in punta di ragione, questo sì, o di "logica aristotelica, imparata al liceo: se A e uguale a B e B è innocente, anche A è innocente. Se Contrada non poteva essere condannato per concorso esterno per fatti antecedenti al 94, neanche Dell'Utri può. L'unica via ora è il ricorso di Dell'Utri a Strasburgo. Occorreranno però almeno due anni prima di una sentenza. Due anni di carcere, per un signore di oltre 75 anni in pessime condizioni di salute. E' un caso più unico che raro. E siccome Dell'Utri non è un personaggio qualsiasi ma è un amico stretto di Silvio Berlusconi, il sospetto che lo tengano in prigione per farla pagare a Berlusconi è quantomeno un sospetto ragionevole. Ragionevole, ma orrendo. Getta un ombra cupa sulla nostra giustizia e sul nostro sistema politico. Nessuno può intervenire? Nessuno. O meglio: forse l'unico che potrebbe intervenire è il Presidente della Repubblica. Con la grazia. Sfidando l'ira funesta delle falangi giustizialiste, della stampa, di gran parte del mondo politico. Ce ne vuole di coraggio...


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