Oggi in diversi quotidiani si legge la notizia che
il gruppo
Volkswagen
ha svolto una riorganizzazione di tutto il gruppo. Il dato ancora più
interessante è che un certo Dott. Luca De Meo, ex responsabile dei
marchi Fiat, è diventato capo di tutto il marketing del gruppo nel mondo.La prima considerazione è
la capacità di cambiamento che spesso all’estero si trova sia nel privato che
nel pubblico. Qui in Italia sarebbe scoppiato un casino, prima sindacale e poi
politico.
Questo nel nostro Paese è quasi impossibile e nel pubblico è perfino un tabù.
L’unica cosa che si possono cambiare sono i consulenti esterni, che normalmente
sono i primi e i soli a saltare quando c’è un cambio politico. Tutto il resto rimane
uguale e guai a toccarli, soprattutto nei ministeri. Ci si ritroverebbe contro
tutti i dipendenti con il blocco delle attività. Il risultato: la pubblica
amministrazione è diventata una casta vera e propria che trae il suo potere dalla
burocrazia e dal concetto di posto fisso, intoccabili e unici detentori della
conoscenza. Assieme alla sacra alleanza dei sindacati sono loro i
responsabili del disastro Italia, generato da una cultura comunista della gestione del
pubblico di cui oggi non a caso Giorgio Napolitano è il presidente, con “p”
minuscola.
La seconda e conseguente considerazione è la
dimostrazione della mancanza del concetto di meritocrazia in Italia, nel pubblico
in modo assoluto e in parte anche nel privato. Infatti, è del tutto evidente
che anche in aziende come l’Eni, se non sei parente o amico di qualcuno non
sei nessuno,
al limite rimangono quei posti dove non si potrà mai crescere, tipo il call
center. Il grande problema è la demeritocrazia a tutti i livelli, dalla
università alle aziende private fino al pubblico.
L’Italia è depositaria di
una ricchezza che pochi paesi hanno e questa ricchezza sono proprio le nostri
menti, la capacità di creatività, di specializzazione in alcuni settori, nelle
bellezze artistiche e turistiche, nelle materia umanistiche e nella cultura, tutti ingredienti che
sanno far nascere uomini e donne eccellenti, ma che purtroppo per emergere
devono cambiare paese. Dobbiamo trasformare il nostro Paese in un posto ambito
per sviluppare le proprie capacità e ambizioni e per far questo è necessario attuare
solo politiche fortemente liberali e federaliste.
E’ indispensabile anche avere il coraggio di mandare al macero la
nostra attuale organizzazione politica riformando il tutto dalle fondamenta,
ovvero iniziando a responsabilizzare il locale facendo sì che gli sforzi, i
sacrifici, il tempo dedicato al lavoro non vada disperso in tasse e balzelli,
che servono solo per mantenere uno Stato parassita. Possono esserci tante
idee e voglia di fare oggi in Italia attraverso liste civiche cha stanno
nascendo o tramite nuovi gruppi politici, ma se non si cambia prima il sistema
il tutto sarà una battaglia persa.
La prima battaglia da fare è proprio rifondare lo Stato
italiano.
E’ impensabile partire prima dal privato, in gran parte la media e piccola
impresa già sa di cosa stiamo parlando. Se non cambia lo Stato non cambia niente e gli studenti,
ricercatori, società e lavoratori d’eccellenza continueranno a emigrare
all’estero il prima possibile.
Un’altra e ultima considerazione è vedere com’è
nata la più antica università del mondo, ovvero l’Università di Bologna. Sono in tanti a
conoscere “l’Alma
Mater Studiorum“,
ma pochi a sapere come e perchè sia nata.
La più antica università del mondo è nata come reazione al
parassitismo e chiusura al “nuovo” delle vecchie scuole europee che all’epoca erano
legate alla monarchia francese e al Vaticano. La maggior parte delle scuole
europee erano legate o alla monarchia o al mondo cattolico di Roma ed era impossibile lo
sviluppo di nuove teorie nella scienza tecnica, nella letteratura, nella
medicina e nelle scienze naturali, nell’arte. Come ben si sa, qualcuno
è finito poi al rogo.
Non solo è nata come alternativa e ribellione al
modo di gestire fino ad allora la scuola, ma la grande novità fu che erano gli
studenti a pagare i docenti per le lezioni. Vi immaginate oggi se nelle università
fossero gli studenti a dover pagare direttamente i docenti in base al loro
grado di capacità di trasmettere cultura e formazione? Se ne vedrebbero delle
belle. Probabilmente di professiori in carica ne rimarrebbero ben pochi.
E’ sempre stato un punto nevralgico in qualsiasi
epoca. Il grado di civiltà di un paese lo si riconosce anche dalla capacità di premiare le eccellenze e tutelare il talento,
quello vero che può nascere solo in un sistema liberale, non solo in termini
politici ma reali.
Massimiliano Buonocore
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