giovedì 26 febbraio 2015

RENZOCCHIO. UN ANNO DI BUGIE. PROMESSE TRADITE

Da "Enrico stai sereno" all’abolizione delle Province ecco le bufale del premier che annuncia e non fa

Un anno di Matteo Renzi a palazzo Chigi. Un anno di parole, promesse, rassicurazioni tornate indietro come un’eco, ma al contrario. Un lungo elenco di impegni, giuramenti e patti trasformatisi quasi sempre, e spesso in un lampo, nel loro opposto. Insomma, dopo 365 giorni al potere, il premier non si può certo definire un «uomo d’onore» da cui aspettarsi coerenza solo perché ti ha stretto la mano.
Siamo nell’aprile del 2013. Renzi, sindaco di Firenze, è ospite delle Invasioni barbariche su La7, quando alla domanda se vorrebbe governare il Paese, risponde: «Passando dalle elezioni sì, non passando dagli inciuci di Palazzo». Meno di un anno dopo approda a palazzo Chigi con un inciucio di Palazzo. In un’altra occasione ribadisce che per arrivare a palazzo Chigi «o passi dal consenso popolare o non sei credibile». Per sua stessa ammissione, non sarebbe credibile.  TUTTO COMINCIÒ: CON #ENRICOSTAISERENO
È ormai memorabile il suo tweet di rassicurazione al premier Enrico Letta. È il 17 gennaio 2014, Renzi è già segretario Pd, quando tranquillizza Letta così: “Enrico stai sereno, nessuno ti vuole fregare il posto”. Un mese dopo Letta va a casa e Renzi al governno. Nel novembre 2012, da candidato alle primarie, Renzi afferma: «Se vinciamo le primarie faremo solo 10 ministri». Da premier ne fece 16.
"VOGLIO LE PREFERENZE": MA TI BLOCCO IL CAPOLISTA...
L’11 novembre 2010, da sindaco, Renzi sostiene che occorre ridare agli elettori "il diritto di scegliere con le preferenze". Il 3 dicembre scorso aggiunge: «Porto avanti il lavoro per le preferenze nella legge elettorale». È finita coi capilista bloccati e una piccola concessione alle preferenze. Il 7 giugno 2014, da premier, afferma: "Ci sono le condizioni perché entro l’estate la legge elettorale possa essere approvata". Quell’estate è trascorsa, siamo quasi a quella dopo e la legge elettorale non è ancora stata approvata definitivamente.
"NON CI SARÀ PIÙ IL SENATO" MA A SPARIRE È SOLO IL VOTO
Porta a porta , il 14 marzo 2014, Renzi promette: «Via il Senato». In realtà il Senato è ancora al suo posto, sarà (forse) solo modificato e conserverà molte prerogative in alcune delicate materie. Nel gennaio 2014 Renzi parla del Trattato di Maastricht: «È evidente che il tetto del rapporto deficit/pil al 3 per cento si potrà sforare». Due mesi dopo cambia versione: «Noi rispettiamo tutti i limiti che ci siamo dati, a partire da quelli del Trattato di Maastricht. L’Italia non chiede di sforare».
 "IO LE TASSE LE HO RIDOTTE" L’ISTAT NON è D’ACCORDO
Renzi flip-flop anche sui caccia F35. Nel luglio 2012 afferma: «Non capisco perché buttare via così una dozzina di miliardi». Nel marzo 2014 annuncia: «Le spese militari in Italia vanno ridotte. Tagli anche sugli F35». E un mese dopo: «Il problema in Italia è l’F24, non gli F35». Ed ecco il Renzi convinto di aver abbassato la pressione fiscale: «Io le tasse le ho ridotte», sostiene infatti in tv nel gennaio scorso. Nelle stesse ore l’Istat ne certifica l’aumento.
 "ORA LA SPENDING REVIEW" E LICENZIA IL COMMISSARIO

Più volte Renzi ha affermato che in Italia occorre agire anche attraverso la spending review, arrivando a dire, il 7 aprile 2014, che «anche l’Europa ne ha bisogno». Dopo pochi mesi, Carlo Cottarelli, commissario alla spending review, va via e dei suoi pdf si perde traccia.
 "BASTA COI DOPPI INCARICHI" DISSE IL PREMIER-SEGRETARIO
Un’altra eco al contrario di Renzi è relativa alla doppia poltrona: "Non si possono avere doppi incarichi", dice un giorno, per poi, da segretario Pd, autotutelarsi correggendosi: "La carica di segretario non è incompatibile con quella di sindaco". Oggi è ancora segretario e pure premier. Dopo la candidatura alle primarie del 2012, Renzi afferma: «Se perdo, torno a fare il sindaco". In realtà, pur rimanendo tale formalmente, si candida alle primarie successive, le vince e poi si dimette catapultando Letta fuori da palazzo Chigi.
SINTONIA CON BERLUSCONI" SOLO FINO A MATTARELLA
Di Berlusconi, invece, diceva: "Quando un leader viene condannato con sentenza passata in giudicato, la partita è finita, game over". Poco tempo dopo con Berlusconi «firma» il Patto del Nazareno: "C’è una profonda sintonia fra le proposte del Pd e quelle discusse con Berlusconi". Poi, dopo l’elezione di Mattarella non concordata con lo stesso Cavaliere, il Patto viene cestinato. Il 29 gennaio 2014 Renzi dice: "Gli italiani non mangiano legge elettorale". Dopodiché dedicherà mesi di tempo ed energie proprio all’approvazione della legge elettorale.
"PRESTO IL SALARIO MINIMO" MA NEL JOBS ACT NON C’È
Il 30 marzo 2014 l’attuale premier sostiene che “nel disegno di legge delega sulla riforma del lavoro ci sarà anche il salario minimo”. Non si è mai visto. In passato Renzi ha più volte fatto suo questo slogan: "Chi cambia partito deve lasciare la poltrona". Quando Scelta Civica si è disintegrata e i suoi parlamentari sono passati al Pd, di quello slogan Renzi si è bellamente scordato.
"PARTITE IVA, RIMEDIERÒ" STANNO ANCORA ASPETTANDO
Il 15 gennaio scorso Renzi confessa: «Sulle partite Iva ho fatto un errore, ma adesso recuperiamo». Parlava di una nuova imposta, triplicata, per i freelance. Ancora non ha recuperato. Il 24 febbraio promette: «Ogni mercoledì mattina mi recherò in una scuola». Dopo le prime comparsate, anche questa promessa è stata riposta nel cassetto.
GARANTISTA CON ERRANI GIUSTIZIALISTA CON ORSONI
Quando, nel febbraio 2009, Dario Franceschini viene eletto segretario del Pd al posto di Walter Veltroni, di cui era vice, Renzi afferma: "Se Veltroni è stato un disastro, non si elegge il vicedisastro". Quel "vicedisastro" oggi è ministro della Cultura di Renzi. Quando viene indagato Vasco Errani, presidente della Regione Emilia Romagna, Renzi twitta: «Finché non c’è sentenza passata in giudicato, un cittadino è innocente». Poi sotto indagine finisce il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, che patteggia, e Renzi «cambia verso»: «Non può più fare il sindaco».
"CON PANNELLA SU AMNISTIA" POI DIVENTA "UN ERRORE"
Nel 2005 Renzi, sindaco di Firenze, scrive: «Aderisco alla battaglia di Pannella per l’amnistia». Nel 2012 conferma la sua posizione dando solidarietà a Pannella. Pochi anni dopo afferma: «Un nuovo indulto-amnistia mi sembra non serio, non educativo e non responsabile». E poi: «L’amnistia è un clamoroso errore». Nel 2011, sempre da sindaco del capoluogo toscano, appoggia il numero uno della Fiat: «Sto con Sergio Marchionne, dalla parte di chi sta investendo nelle aziende quando le aziende chiudono». Un anno dopo fa marcia indietro: «Marchionne ha tradito gli operai». Poi Marchionne annuncia assunzioni alla Fiat di Melfi e Matteo Renzi torna a essere un convinto «marchionniano».
"SPARISCONO LE PROVINCE" SONO ANCORA TUTTE LÌ
Nel novembre 2009, Renzi si scaglia contro l’allora sottosegretario, Carlo Giovanardi, per le sue posizioni sulla morte di Stefano Cucchi: “Mi aspetterei che qualcuno chiedesse le dimissioni di Giovanardi. Se nessuno lo fa, lo faccio io”. Oggi Giovanardi, da senatore, sul caso Cucchi continua a dire le stesse cose, ma Renzi si guarda bene dal chiedergli le dimissioni. Non si è vista neanche la più volte annunciata soppressione delle province. Ad essere cancellate, infatti, sono state le elezioni provinciali, quindi i consiglieri, ma le province sono ancora al loro posto «più forti che pria». Renzi uno e trino anche sul reato di omicidio stradale. Da segretario Pd, l’1 gennaio 2014, afferma: «Basta annunci, si faccia subito». Da premier, nel novembre 2014, ribadisce: «Legge in tempi rapidi». Un mese dopo aggiunge: «Basta impunità, nel 2015 approveremo la legge». Risultato: ancora la legge non c’è.
"RIFORMERÒ LA GIUSTIZIA" OTTIMISTA...
Quanto alla riforma della scuola, nell’agosto 2014 Renzi afferma: "È una chiara priorità". Dopo quasi un anno, la riforma non è stata ancora approvata. In più di un’occasione, nei primi mesi del 2014, il premier Renzi ha annunciato: «Entro giugno la riforma della giustizia». Era stato decisamente troppo ottimista. Siamo quasi al giugno successivo e nessuna riforma della giustizia ha visto la luce. Lunedì il direttore del Foglio, Claudio Cerasa, ha scritto: «Renzi e la non riforma della giustizia. Cronaca di una sorte annunciata». Luca Rocca  Il Tempo

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