martedì 7 dicembre 2010

LE VITTIME DEI COMUNISTI A RAVENNA SONO ANCORA TABU’

RODOLFO RIDOLFI COORDINAMENTO PROVINCIALE E REGIONALE PDL - CONSIGLIERE POLITICO DEL MINISTRO BRUNETTA.

Al Sindaco di Ravenna che s’indigna con il Pdl e ai giovani del Pd di Faenza iscritti all’ANPI, che mi ricordano i giovani repubblichini di Salò, vorrei chiedere: “Quante volte ancora dovremo assistere all’apologia di ex fascisti diventati eroi e medaglie dell'antifascismo, a comunisti che si ergono a paladini della democrazia, ad opportunisti democristiani che sono passati alla resistenza in tarda età. Una terra come la nostra, che prima di essere comunista fu in tanta parte così fascista, dovrebbe avere il coraggio di porre fine ad oltre sessant'anni di nebbia densa di imbarazzo, rimarcando l'ipocrisia, la fragilità, lo spirito di accomodamento, anche la pavidità, di cui diede prova larghissima parte degli italiani, intellettuali in testa, che, come lamentò l'esule Salvemini, avevano baldanzosamente esibito le loro idee socialiste, comuniste e cattoliche solo in tempi di bonaccia…”. Fabrizio Matteucci rilegga almeno: “Il sangue dei vinti”. Quello che accadde in Italia dopo il 25 aprile, o “la Grande Bugia” di Giampaolo Pansa o Vincitori e vinti di Bruno Vespa, che racconta anche gli eccidi commessi dai partigiani comunisti e pubblica la testimonianza di un superstite, Paolo Maccesi, che afferma «Codevigo...comandato ..da un certo Boldrini di Ravenna». . La Corte penale internazionale dell'Aja, accogliendo il ricorso per riaprire le indagini sull'immotivato e duplice assassinio di Domenico ed Emilia Cuffiani, braccianti agricoli dei Gardini, avvenuto a Longastrino dopo la liberazione nel 1945 e per stabilire chi si macchiò e chi fu il mandante dell'uccisione dei braccianti della famiglia Gardini, ha avvalorato l'ipotesi che quell'assassinio si configurasse come crimine di guerra, affermando fra l'altro che la zona (la Provincia di Ravenna) «fu certamente al centro di una conflittualità postbellica che finì in massacri indiscriminati di persone innocenti senza legami col regime fascista», in un quadro di «incertezza istituzionale»; sottolineando come il senatore Arrigo Boldrini ('Bulow'), nella sua qualità di comandante


partigiano operante in quella zona avrebbe reso «sommarie informazioni» e chiedendo il sequestro probatorio di tutta la documentazione eventualmente registrata negli archivi Anpi e di quella conservata presso l'Istituto Gramsci relativa al periodo interessato. Nella Provincia di Ravenna, nel cosiddetto «triangolo della morte»: Giovecca-Lavezzola-Voltana, sulla base dei rapporti dei Carabinieri, furono uccise e spesso occultate persone, qualcuno parla di oltre quattrocento «desaparecidos», ai quali vanno aggiunti quelli del comprensorio ravennate, di Massa Lombarda e della collina, un altro centinaio. Fra i delitti più odiosi sono da annoverare: l'assassinio di Marino Pascoli, giovane giornalista e comandante partigiano di fede mazziniana, quello di Mario Baroncelli, direttore dell'Associazione Agricoltori della Provincia di Ravenna, quello di don Tiso Galletti, lo sterminio dei conti Manzoni, rimasto sostanzialmente impunito nonostante le condanne comminate con l'applicazione dell'indulto voluto da Togliatti, l'omicidio dell'ingegner Lionello Matteucci, avvenuto a Massalombarda l'8 maggio 1945, un delitto che dette inizio ad una serie di altri sei assassini. Sarebbe ora che il «tabù» fosse smascherato. Un'opera non di revisionismo, ma piuttosto una corretta e necessaria operazione di rimozione di falsità, menzogne e silenzi imposti dalla cultura comunista alla storia italiana degli ultimi 65 anni. Affrontare il tema della «pacificazione» significa prendere atto che esistevano due modi spesso in buona fede di essere italiani e di amare l'Italia e che c'era poi chi non era interessato né all'un modo né all'altro perché non aspirava alla democrazia ma all'instaurazione della dittatura comunista nel nostro Paese ed è per questo che si accanì sui partigiani non comunisti, soprattutto quelli che non accettavano l'egemonia comunista, sui «borghesi» e sui tanti silenziosi ed innocenti «non comunisti». Pascoli raccontò su La Voce di Romagna del 6 dicembre 1947 : «Prima di tutto dobbiamo distinguere i partigiani veri dai partigiani falsi. I partigiani veri sono coloro che hanno corso sul serio dei rischi, che hanno combattuto con fede per la liberazione d'Italia e questi, a dir il vero, sono pochi. I partigiani falsi che purtroppo sono la maggioranza, sono coloro che hanno fatto i teppisti mascherati, i collezionisti di omicidi, e che andarono in giro col mitra, quando non vi era più pericolo, a fare gli eroi. Questa gente anche se è riuscita a munirsi di un brevetto o di un certificato, anche se oggi milita indebitamente nelle fila dei partigiani, non bisogna avere nessuna esitazione a chiamarla teppa. Teppa da reato comune, macchiata di sangue, di prepotenza e di ricatti...... Attenzione, partigiani veri, partigiani onesti, partigiani italiani e rimasti italiani, a non seguire coloro che vogliono vendere l'Italia allo straniero, altrimenti il vostro sacrificio sarebbe stato vano...L'organizzazione militare delle Brigate Garibaldine venne creata più tardi a rivoluzione d'Aprile conclusa. Quando contati i partigiani, rimpolpate le formazioni, aumentati gli effettivi, organizzate le forze comuniste e muniti i comandi di timbri e carta intestata, si procedette alla farsa della smobilitazione delle forze comuniste, si svolgeva, invece un'opera diametralmente opposta quella cioè di inquadrare ed organizzare per l'avvenire queste forze per un eventuale colpo di Stato...».




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