Ricordate i due referendum sull'acqua? Quelli che il Pd appoggiò e poi festeggiò nelle piazze insieme ai promotori? Ebbene, come previsto, i guai sono già iniziati, coinvolgendo proprio i colossi pubblico-privato nati nelle regioni rosse sotto l'ombrello dello stesso Partito democratico. Il quale, sconfessando se stesso, prima ha urlato che "l'acqua è un bene pubblico", come se qualcuno volesse privatizzarla, e immediatamente dopo - attraverso i suoi assessori regionali - ha chiesto l'intervento del governo Berlusconi. Insomma, hanno fatto il danno, e poi hanno chiesto che il centrodestra gli togliesse le castagne dal fuoco. Sono passati sei mesi, il governo è cambiato ma i nodi stanno venendo tutti insieme al pettine. Com'era perfettamente ovvio e prevedibile, la sinistra estrema che volle i referendum ora è passata all'incasso pretendendo che le amministrazioni comunali diano immediato avvio alle procedure per trasformare in totalmente pubblica la gestione degli acquedotti, attualmente affidata quasi dappertutto a società miste, cioè pubbliche con partecipazione minoritaria di privati. La richiesta di dare attuazione ai risultati referendari è approdata in tutti i consigli comunali causando non pochi problemi alle amministrazioni locali, comprese quelle a guida Pd. Intendiamoci: le richieste di dare attuazione ai referendum sono in linea di principio legittime, ma la totale pubblicizzazione delle società che gestiscono gli acquedotti e la revisione della tariffa appaiono di difficile - se non impossibile - realizzazione perché ciò richiederebbe la disponibilità da parte dei Comuni di miliardi di euro che
dovrebbero sostituire i capitali dei privati e degli istituti di credito attualmente investiti proprio negli acquedotti. Le giunte locali stanno rinviando di giorno in giorno il problema, nella speranza che accada il miracolo, e cioè che piovano dal cielo i miliardi necessari per dare attuazione alla volontà referendaria.
Nel frattempo il Pd tenta una strenua difesa dello status quo, ma invece di riconoscere il plateale errore compiuto nel sostenere una campagna referendaria demagogica e sbagliata, continua a dare incredibilmente la colpa - che novità - al governo Berlusconi, che non avrebbe predisposto norme capaci di consentire una pioggia di miliardi in favore degli enti pubblici gestori degli acquedotti. Il miracolo non lo ha fatto Berlusconi e non lo sta facendo neanche il governo Monti, di cui pure il Pd è sostenitore convinto - che parla quotidianamente di liberalizzazioni e non certo di statalizzare le partecipate che gestiscono gli acquedotti.
Nulla di nuovo sotto il sole: il Pd prima cavalcò i referendum per dare la spallata a Berlusconi, in aperta contraddizione con le linee di gestione portate avanti nelle stesse regioni rosse, e oggi si deve arrampicare sugli specchi per giustificare l’inadempienza a due referendum sostanzialmente irrealizzabili.
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