domenica 16 dicembre 2012

MONTI-BERLUSCONI, LA PARTITA E ANCORA TUTTA DA GIOCARE


IL CONSIGLIO E’: NON SCOMETTETE OGGI SUL RISULTATO. PERCHE’ DA QUI A GENNAIO SE NE VEDRANNO ANCORA DELLE BELLE

Quando il cielo viene squarciato dai fulmini, non sempre arriva la pioggia. Così come in politica, quando ci sono levate di scudi, polemiche e qualche braccio di ferro, non sempre si arriva a sfasciare partiti, movimenti, maggioranze o anche governi. Discutere, anche animatamente, fa parte della normale dialettica politica. In realtà chiunque litiga, anche le coppie più solide, ma non è detto che si arrivi al divorzio. È forse quello che sta accadendo in queste settimane, e in particolare negli ultimi giorni, nel centrodestra italiano. Sarebbe sciocco negare che il ritorno in campo di Berlusconi (alzi la mano chi l’aveva dato ai giardinetti) non ha creato malumori interni alla coalizione, se non addirittura all’area. Ma in un Paese realmente democratico, sarebbe delittuoso negare a chi ha suonato e portato la croce da solo con gli elettori per vent’anni, di poter correre per l’ultima volta dopo aver subito l’onta di una cacciata a furor di popolo nonolstante il più largo successo elettorale della storia repubblicana. Oltretutto, a volere il passo indietro del Cavaliere sono uomini politici che hanno saputo raccogliere affermazioni importanti in questi venti anni di impegno politico, ma che senza di lui difficilmente avrebbero sfondato il muro del 5% dei consensi. A livello nazionale, così come a livello locale. Premesso questo, il loro grido d’allarme non va comunque sottovalutato. Perché il dissenso di cui si fanno portatori sarà stato forse raccolto nel contatto diretto con il territorio, con i cittadini. O forse sarà stato raccolto nel contatto con quel pezzo di società civile e imprenditoriale che compone da sempre lo zoccolo duro dell’elettorato moderato. Da qualunque angolatura si guarda lo scenario, tutti gli appelli non devono finire nel nulla. È ovvio, però, che alla fine servirà una sintesi.

Berlusconi la sua non l’ha ancora fornita. Può sembrare che stia giocando al gatto col topo, ma credere che i suoi siano tentativi disperati, è come ammettere di non conoscerlo appieno.  L’ex premier sembra che abbia un grosso tarlo in testa, quello di far uscire allo scoperto quelli che, pur facendo parte della sua area politica, o anche del suo stesso movimento politico, in questi mesi hanno esultato per la caduta del suo governo, hanno gioito per la sua assenza e si sono fregati le mani quando ha annunciato il suo passo indietro via videomessaggio agli italiani.  
Mutuando una terminologia calcistica, l’allenatore vuole conoscere i nomi dei giocatori che non si impegnano per ottenere dalla società il suo esonero. Tradotto: Berlusconi vuole sapere chi sta lavorando (o non lavorando, è lo stesso) per mandarlo a casa. Alcuni hanno avuto almeno il coraggio di uscire allo scoperto, come Crosetto, Meloni, Frattini, Cazzola e Malgeri. Altri, invece, si sarebbero spinti fino a sussurrare alle orecchie dei poteri forti qualche piccante retroscena politico imbarazzante del Cavaliere (vedi ad esempio Mario Mauro, almeno stando alle ricostruzioni giornalistiche). C’è poi il capitolo degli scontenti. Quelli, cioè, che sarebbero pure disposti a sostenere nuovamente Silvio nella corsa a Palazzo Chigi, ma prima vogliono capire quale ruolo spetterebbe loro in caso di successo, dopo essere stati messi ai margini del potere per ragion di coalizione. Questa speciale categoria appartiene principalmente allo zoccolo duro di Forza Italia 1994, e solo in risibile in parte è frutto della fusione con An che ha dato vita al Pdl. Sono loro il vero ago della bilancia. Il contrappeso importante per rilanciare lo spirito del movimento, perché ancora oggi animati dagli stessi sentimenti di vent’anni fa, ma che per una ragione o per l’altra, sono finiti a passare carte in via dell’Umiltà, anziché sedersi al tavolo da gioco di Montecitorio, Palazzo Madama e compagnia bella. Sono disposti a dare ancora l’anima, ma stavolta non per un tozzo di pane. E sentire che il rinnovamento non parte dalla loro “convocazione” in prima squadra, certamente non aiuta l’allenatore in difficoltà con lo spogliatoio.
 C’è anche un’altra area in cui si concentra una fetta di voti utili alla vittoria. È quella del nuovo Centro. Sono i montezemoliani, i casiniani, i pisanuiani. Nessuno di loro può essere considerato un “volto nuovo”, ma a volte il botox politico può fare miracoli. Soprattutto se qualche ministro di Dio intercede per loro con il gregge di pecorelle smarrite…
 Da loro, sebbene contino non più dell’8%, non si può proprio prescindere. Nell’area ci devono essere, altrimenti non si va da nessuna parte. Lo ha ammesso anche Bersani, che come Peppone è pronto a mettere in soffitta la vecchia anima comunista, pur di abbracciare finalmente i Don Camillo della Seconda Repubblica. Sono parte di quei di poteri forti che ancora oggi oliano o asciugano i meccanismi della macchina politico-istituzionale, a seconda del momento e della persona. Sono i figli del mito di De Gasperi, ma che – per dirla alla Indro Montanelli – fanno come Andreotti. Per capire basta ricordare la frase  del mitico giornalista scomparso negli anni Novanta: “De Gasperi e Andreotti andavano insieme a messa e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così: in chiesa De Gasperi parlava con Dio, Andreotti con il prete. I preti votano, Dio no”.
 Infine c’è l’area dei bombardieri. Sono berlusconiani pronti a morire per il Cavaliere, perché sanno che se a morire fosse lui, loro lo sarebbero di riflesso. È un po’ machiavellico come concetto, ma ha fondamento politico. Perché si tratta di personaggi che hanno avuto un ritorno di immagine, dall’azione di Berlusconi, talmente forte da esserne rimasti prigionieri. Ergo: se si spegne la luce del leader, anche loro che sono le lampadine finiscono nuovamente al buio. E questo significa la fine dei giochi di potere. Inaccettabile, per chi al di fuori di Berlusconi non ha null’altro.
 Ecco, l’ex premier deve fare una sintesi di tutte queste anime. E non è un esercizio mentale e fisico facile.
 E Monti in tutto questo dov’è?, vi starete chiedendo. Presto detto: il Professore, per restare nel campo dell’elettrotecnica, sarebbe la prolunga che tiene ancora accesa la fonte di luce (Berlusconi) e il resto della rete elettrica (scontenti, poteri forti, bombardieri). Se lui accettasse il ruolo di candidato premier, il Cav avrebbe la possibilità di tessere la tela che tiene insieme l’area moderata, come ha fatto fin dal primo giorno del suo impegno in politica.
 La contemporanea presenza di Monti e Berlusconi al vertice di Bruxelles del Ppe potrebbe essere un segnale distensivo tra i due, che apre le porte all’accordo. Oppure il passo decisivo del Professore per una sua discesa in campo. E come esordio, rubare la scena al Cavaliere tra i popolari europei, sarebbe stato un gran colpo per l’attuale premier italiano. Ma in politica nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma. E anche se si votasse a metà febbraio ci sarebbe tutto il tempo per mischiare e rimischiare le carte.   Il consiglio è: non scommettete oggi su un risultato. Perché da qui a gennaio se ne vedranno ancora delle belle.

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