Su Raitre ricostruiscono la vicenda giudiziaria del Cav, ma negano i
proscioglimenti in Cassazione per la vicenda Mediaset. In chiusura dell’ultima
puntata di Ballarò,
il direttore di Panorama
Giorgio Mulè solleva una contraddizione sulla
condanna subita da Silvio Berlusconi: com’è possibile che per lo
stesso reato la Cassazione lo abbia assolto per due volte, mentre una volta
l’ha condannato? «Il pubblico deve sapere - dice Mulè - che ci sono due
sentenze della stessa Corte di Cassazione che prosciolgono Berlusconi per lo
stesso identico reato». «No, non è vero! - ribatte Giovanni Floris - Andiamo oltre, lei dice una
cosa che non interessa a nessuno, ormai è condannato». Mulè chiede
di controllare, sul finire della trasmissione il conduttore di Ballarò si fa passare un
foglietto ed emette la sentenza: «Oltre al processo Mediaset ci sono
altri due processi Mediatrade su cui è intervenuta la
prescrizione. Ci vediamo martedì, alè!». Mulè cerca di ribattere, dice che non
è vero, ma scorrono i titoli di coda e cala il sipario. Chi dice la verità?
Quali sono i fatti? I due procedimenti di cui si parla sono i processi Mediatrade
- uno a Milano e uno a Roma - entrambi filoni del processo Mediaset (quello in cui Berlusconi è
stato condannato). La sentenza definitiva sul procedimento milanese arriva il
18 maggio 2012: la seconda sezione penale della Cassazione conferma il proscioglimento
di Berlusconi, confermando la decisione del Gup di Milano
dell’ottobre 2011. Secondo la Corte «l’esame delle prove indicate dal pm a
sostegno della richiesta di rinvio a giudizio non consentiva di individuare
alcun concreto elemento probatorio da cui poteva evincersi una partecipazione
materiale o anche solo morale di Silvio Berlusconi ai reati contestati nel
procedimento». Berlusconi viene prosciolto per frode fiscale, mentre la
prescrizione riguarda solo l’appropriazione indebita. Floris quindi ha detto
una bugia.
Il
processo romano Mediatrade si risolve invece il 6 marzo 2013: la
terza sezione penale della Cassazione conferma il proscioglimento del Cavaliere
«perché il fatto non sussiste». Floris ha detto la seconda bugia. Ma ciò che è
interessante, a parte le assoluzioni, le prescrizioni e le condanne, sono le
motivazioni contraddittorie che hanno portato a giudizi opposti. Nei tre
processi le stesse prove in due casi dimostrano l’innocenza, nel terzo la
colpevolezza.
È la discordanza
e il dubbio che vorrebbe sollevare Mulè di fronte alle certezze di Floris che
ripete: «È condannato!». Per i giudici che lo hanno condannato Berlusconi
era il «dominus indiscusso del gruppo anche in mancanza di poteri gestori
formali», mentre per i giudici che lo hanno assolto non aveva poteri
sulle società: «Non emergevano condotte concludenti ai fini di un concorso nei
reati addebitati, neppure sotto il profilo della gestione di fatto». L’altra
prova regina è la lettera di Frank Agrama - il presunto “socio occulto” del
Cavaliere - attraverso cui chiede garanzie a Mediaset sul fatturato. Per la
corte capeggiata da Esposito «è evidente che questa lettera confessione
costituisce la migliore dimostrazione che la difesa dell’imputato si è
riferita a un rapporto teorico, ben diverso da quello reale». Insomma è il
papello che prova il patto col “socio occulto”. Mentre per la Corte che lo ha
assolto il Cav non c’era alcun sovrapprezzo sulle compravendite e «se il
rapporto tra gli imputati fosse stato realmente una società occulta o di fatto,
non si comprende perché Agrama dovesse insistere ripetutamente con la
dirigenza Mediaset...Sarebbe bastato rivolgersi al proprio socio occulto,
Silvio Berlusconi, per ottenere quanto richiesto».
La
contraddizione è evidente e dovrebbe interrogare anche i giustizialisti: a
quale Cassazione credere? Quella che ritiene Berlusconi dominus del gruppo e
socio occulto di Agrama, o quella che lo scagiona?
Il grande
pubblico non conosce questi particolari e non ha avuto la possibilità di
conoscerli dalla televisione pubblica, perché Floris ha preferito inventare
prescrizioni e non dare argomenti al “nemico”. «È il problema del
giornalismo fatto per tesi - commmenta Giorgio Mulè - è vietato pensare. Si va
avanti con idee precostituite, ma senza coltivare il dubbio si perde l’essenza
del giornalismo». Non considerare punti di vista diversi, non commentare nè le
sentenze, non dare spazio ad argomenti sgraditi. «Non chiedevo di
sostenere una tesi innocentista - continua Mulè - ma la buona fede di
fornire un’informazione completa». Nell’ansia di dover supportare
l’ipotesi di colpevolista Floris questa settimana ha detto un po’ di bugie. Ci
vediamo martedì prossimo. Alè! di
Luciano Capone
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