“Votare la fiducia al governo Letta? E perché
dovremmo, qual è la logica? Quale la coerenza?”, si chiede Giancarlo Galan,
l’ex governatore del Veneto, manager di Publitalia 80, uno della vecchia
guardia. “Stiamo solo perdendo tempo, andremo comunque alle elezioni”, dice,
“la grande coalizione non funziona, non soltanto non serve a Berlusconi, ma non
serve all’Italia. Il presidente della Repubblica dovrebbe essere più elastico,
sciogliere le Camere sarebbe liberatorio per tutti”. L’andatura dei falchi non
ha nulla di ozioso e dilatorio, e così, dentro l’agitato partito di Silvio
Berlusconi, serpeggia un conflitto che non ha più soltanto a che vedere con la
linea politica, non è soltanto la complicata dialettica interna che ormai
separa persino Renato Brunetta (“votare ‘sì’ alla fiducia non è un problema”)
dal resto dei duri. Ma tra governisti e crisaioli la distanza è persino
estetica. “Noi siamo veloci, non vogliamo perdere tempo”, dice Daniela
Santanchè, la Pitonessa che pone una distanza tra sé e Angelino Alfano, Gianni
Letta, Gaetano Quagliariello, Maurizio Lupi: “Vogliamo le elezioni, subito”,
dice lei. Da una parte, dunque, quel riserbo, quel gioco obbligato di futilità
introduttive, cortesi temporeggiamenti e garbo istituzionale che sono il
mestiere di Gianni Letta e della diplomazia, da sempre, quegli strumenti che
ieri il gran visir del berlusconismo ha estratto forse per l’ultima volta – ma
chissà – in una giostra di telefonate e di incontri per rimpannucciare un
contesto esplosivo (o forse già esploso). Dall’altra il fare lupesco, spiccio,
pragmatico, funzionalista, e in definitiva molto, molto, berlusconiano di
Santanchè, di Galan, di Denis
Verdini. Enrico Letta ha
incontrato Giorgio Napolitano al Quirinale, si va verso una
parlamentarizzazione della crisi. Ma il Pdl come si comporterà? “La stabilità
non è un dogma”, dice la Pitonessa. “Se il governo fosse capace di governare
sarebbe davvero un peccato farlo cadere, ma siccome con il Pd non riusciamo ad
andare d’accordo, e poiché questo governo galleggia e basta (ma avete visto
cosa succede con l’Iva?) allora tanto vale andare alle elezioni”. Ma ieri
Angelino Alfano ha provato a mediare con i Letta, Gianni ed Enrico, zio e
nipote. E il Cavaliere ieri sera, a un certo punto, sembrava avanzare dubitoso
verso i miraggi di accordo, le ipotesi di ricomposizione, le profferte che gli
venivano rappresentate dai suoi legati, malgrado lui sia ancora trattenuto dal
molle e tenace vischio d’innumerevoli delusioni. “Ci prendono in giro”.
Santanchè, come Galan, scuote la testa. “Non c’è mediazione, perché Napolitano
non vuole cedere nulla. In questi mesi molti dei nostri sono andati da
Berlusconi raccontandogli fantasie sulla grazia, sulla revisione della legge
Severino, su ipotesi di accomodamento e di pacificazione. Balle. Gli hanno
raccontato una montagna di balle, come se Napolitano fosse disponibile. Ma non
è vero, non è mai stato vero”. Allora Alfano mentiva al Cavaliere? Sorriso
pitonesco: “Il presidente della Repubblica è coerente, lui. Non ha mai fatto un
solo cenno di disponibilità. Mai”. E insomma quello che per Alfano e Gianni
Letta è riserbo, per Santanchè e Galan è losca elusività; quella che per Alfano
e Letta è cortesia, per Santanchè e Galan è falsa adulazione.
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