Dietro l’endorsement pro premier c'è il disegno di
Berlusconi di riprendersi la coalizione: «Se vince il No sarà Matteo che dovrà
fidarsi di me»
Dopo quel riconoscimento a sorpresa, suonato, ma solo in apparenza,
quasi un endorsement, a Matteo Renzi riconosciuto come l'unico leader su
piazza, del quale ha ammesso anche il diritto di mandare la lettera agli
italiani all'estero, facile e prevedibile l'esultanza dei sostenitori del Patto
del Nazareno, un partito però spesso più di carta, che fatto di politica reale.
E facili i retroscena di chi vede nella mossa di Silvio Berlusconi un modo per
ingraziarsi il governo che deve ancora esprimere il suo parere alla Corte
europea di Strasburgo dove l'ex premier ha fatto ricorso contro la sua
incandidabilità. Prevedibile anche che si mettano di mezzo i problemi delle
aziende e quelli relativi alla quota di Mediolanum detenuta da Berlusconi che
la Bce ha congelato. Ma il punto è che Berlusconi a Rtl ha detto che in campo
ci sono solo due leader: Renzi e lui medesimo. Non a caso il capogruppo
leghista al Senato Gianmarco Centinaio subito reagisce ricordando la leadership
di Salvini. Certo, la sottolineatura di Fedele Confalonieri sul fatto che
«Renzi gli somiglia un po», si presta a rialimentare tutti i più prevedibili
retroscena, schiacciati sul lato aziendale, persino quello secondo il quale
Berlusconi ora sarebbe per il Sì (mentre ribadiscono i suoi è convintamente per
il No) e il solito che vede in Renzi il suo erede. di leader veri dentro la
politica ce n'è uno solo ed è Matteo Renzi», il Cav però aggiunge che c'è poi
lui medesimo e «fuori dalla politica». Notazione che di fatto non può non
ammiccare ai tanti, soprattutto agli elettori anti-sistema di Grillo, ritenuto
il nemico numero uno. Ragione per la quale ha voluto, almeno per ora, liquidare
Stefano Parisi per ricucire con Matteo Salvini che non vuole regalare ai
populisti. Dice il leader azzurro, parlando in terza persona: «Fuori dalla
politica forse di leader veri ce n'è qualcuno, ma dalla politica è stato
buttato fuori». E su Salvini: «Spero che la Lega possa aderire a una coalizione
con noi e che l'unica forza populista in Italia sia quella dei Cinque Stelle».
Apre al leader leghista e alla leader di F. d'I Giorgia Meloni, che con il
capogruppo alla Camera Fabio Rampelli aveva lanciato per prima le primarie di
coalizione. Il Cav ora non
le esclude ma a condizione «che
siano regolate da una legge». Ai due alleati principali e non solo a Parisi
però invia di fatto il chiaro messaggio che il leader è ancora lui: «Nessuno
può essere leader se gli altri non sono d'accordo. In una coalizione i toni
accesi non servono». Su Parisi il passaggio più duro appare quello nel quale
gli ricorda che lui non gli aveva dato il mandato da leader e fa trasparire la
sua delusione per il fatto che declinò il suo invito a fare il coordinatore di
FI: «Chiunque può pensare di avere la guida di una coalizione se i membri della
coalizione lo accettano. Non era questo il ruolo di Parisi, era quello di
raccogliere risorse nuove tra la società civile, Parisi ha sempre affermato di
non considerarsi di Forza Italia». Per cui «risponde lui di quello che dice».
Rottura definitiva? «Io mi auguro che lui vada avanti in questo lavoro e alla
fine ci si possa ritrovare insieme. Alla fine dobbiamo rinnovarci senza
rottamarci e Parisi può darci una mano nella ricerca di persone nuove». Che
tradotto, secondo fonti azzurre significherebbe: «Se Parisi, anche facendo un
suo partito, ci porta il 4 per cento, ben venga! ». Insomma, con il Cav
soprattutto, campione consumato del gioco su più tavoli, mai dire mai. Non è
escluso che i due magari si siano già sentiti. Così come non è escluso un altro
vertice con Salvini e Meloni. Certo Parisi ha reagito: «Io vado avanti anche
senza Berlusconi, serve un governo liberal popolare e con la guida di Salvini
si va a perdere. Lui vuole uscire dall'euro, i liberal popolari no.
L'alternativa a Grillo dobbiamo essere noi non Renzi». E poi osserva: «Il No è
nel merito, sarebbe facile dire Sì per conquistare una parte di elettori di
centrodestra». Un segnale a Berlusconi? Il quale però con quell'endorsement ha
giocato d'anticipo mettendo in imbarazzo gli elettori del Pd. Intanto, resta da
chiarire il mistero buffo di quello che è successo nelle 24 ore tra sabato e
domenica scorsa, quando, secondo un gossip che gira in Veneto, gli azzurri pro
Bitonci (il sindaco leghista defenestrato a Padova anche da due consiglieri
forzisti, ora commissariati) avrebbero invano tentato di contattare Parisi,
forse dopo essersi consultati con Arcore, per raccomandargli di non andare
dritto sparato contro la Lega proprio dalla stesa Padova. Sembra che i contatti
si siano persi. Ma da lì si è accesa la miccia. E il Cav ora ribadisce che lui
proprio davvero con il pasticciaccio veneto non c'entra niente. Una cosa sembra
probabile: la sua volontà di andare fino alla fine della legislatura che si può
evincere dalla frase in cui ricorda che dopo la vittoria del No «bisogna fare
una riforma elettorale e andare a votare», ma aggiunge anche che serve «una
riforma costituzionale condivisa». Secondo alcuni azzurri «in 13 mesi si può
fare». E sulle ipotesi di larghe intese, Silvio ha le idee chiare: «Se vince il
No sarà Renzi a doversi fidare di me», avrebbe detto ai suoi.E intanto magari
sarà arrivato quell'erede che "Silvio" dice di non aver ancora
trovato. E a proposito di Parisi non mancano indiscrezioni nel Palazzo secondo
le quali «sarebbe stato più sponsorizzato da Confalonieri, Marina e Ennio Doris
(presidente di Mediolanum ndr) che dallo stesso Silvio, il quale a volte si
sente un po' schiacciato dalla sua stessa più intima cerchia».
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