Il
paradosso è che mentre ci si applica per eliminare dalla scena politica
Berlusconi, le sue battaglie trovano spazio laddove ieri erano contestate
o negate
Si chiamano “segni dei
tempi”: sono quelle manifestazioni apparentemente scollegate tra loro
che individuano una trasformazione in atto di portata eccezionale. I
filosofi li chiamerebbero “epifenomeni”; noi, che siamo più terra terra e
anche più cattivelli, le chiamiamo “conversioni in tarda età”. E così
succede che ieri, sul Corriere
della Sera, due dei principali editorialisti del quotidiano dei
poteri che contano, hanno scritto cose che non ti aspetteresti neppure dai
più agguerriti berluscones.
Il primo è Ernesto Galli Della
Loggia:
in un articolo sulle difficoltà della sinistra ad intercettare il
consenso, lo storico individua “il fatto che oggi i suoi esponenti vengono
percepiti – giustamente – come una parte dell’élite della società europee,
in molti casi ai vertici del potere. Si pensi ad esempio come la
sinistra domini il sistema dei media”; ed aggiunge poi che la sinistra è
“prona da tempo alla medesima vuota ideologia dell’europeismo a
prescindere”. Il secondo è l’ex ambasciatore Sergio Romano che, parlando del caso
Dell’Utri, è costretto ad ammettere che “in Italia la giustizia si è
inevitabilmente politicizzata; e il passaggio di tanti magistrati alla vita
politica” rende l’anomalia “ancora più vistosa”. Per un attimo si
rimane senza fiato: Galli della Loggia e Romano sembrano attingere alle
argomentazioni che in questi anni il centrodestra ha sollevato per spiegare
il deficit democratico del nostro Paese, il rischio di delegittimazione
giudiziaria della sovranità politica e le contraddizioni di un sistema
sbilanciato a favore di gruppi ristretti di potere economico di cui la
sinistra è il referente politico. Quando Berlusconi denunciava l’uso politico
della giustizia, gli rispondevano con le inchieste a suo carico che
servivano a zittire qualsiasi osservazione oggettiva sull’anomalia di un
sistema in cui la separazione dei poteri non serve più a bilanciarli, ma a
consentire ad uno di essi (quello giudiziario) di non avere più limiti. E
quando Berlusconi, da presidente del Consiglio italiano (per la cronaca,
l’ultimo ad essere eletto dai cittadini nel 2008) sollevava il problema di
un’Europa le cui politiche erano lontane dai bisogni della gente e dai
nostri interessi nazionali, i professori tanto cari ai tecnocrati di Bruxelles
e ai banchieri di Goldman Sachs rispondevano con l’accusa di populismo,
perché si sa, tutto ciò che odora di “popolo” disgusta le élite e fa a loro
lo stesso effetto dell’aglio al conte Dracula. Il paradosso è che mentre ci si
applica per eliminare dalla scena politica Berlusconi, le sue battaglie
trovano spazio laddove ieri erano contestate o negate. E’ l’ironico
destino dell’antiberlusconismo.
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