L’immunità parlamentare è
cosa buona e giusta. Il Parlamento che vi rinunciò lo fece per salvare alcuni
mandano al macello molti, ma ottenne il solo risultato di suicidarsi. Non c’è
sistema democratico in cui tale istituto non esista, perché non è un privilegio
dei parlamentari, ma una tutela avverso la sopraffazione della rappresentanza.
L’immunità parlamentare, però, non può che riguardare gli eletti, mentre nel
nuovo Senato, così come emendato da un presunto accordo fra Partito
democratico, Forza Italia, Nuovo centro destra e Lega, coprirebbe anche i
delegati delle regioni. Non ha senso. E’ bislacco e fuorviante. Un fritto misto
di paranza condito con crema cacio e pepe, guarnito con panna montata e
grattatina di rabarbaro. Un torcibudella. Una giusta guarentigia consiste nel
fatto che nessuno deve essere perseguito per quel che dice o vota in un’Aula
parlamentare. In generale in un’assemblea elettiva. Se offende o calunnia
devono provvedere le norme regolamentari (interna corporis). Ma vi pare
accettabile che un consigliere regionale, per il solo fatto d’essere stato
delegato a rappresentare l’autonomia locale nell’ircocervico Senato del futuro,
non può essere arrestato, intercettato, perquisito? Gli altri come lui sì, gli
altri eletti sindaci o consiglieri regionali sì, ma lui (o lei) no, perché lo
hanno mandato al Senato. E non voglio neanche immaginare quale tipo di
selezione s’innescherà, se dovesse passare una simile corbelleria. Posto che
nessuna regione potrà avere meno di tre senatori, c’è spazio perché ciascuno ci
metta il proprio miglior delinquente, il proprio campione nell’esporsi al
pericolo d’indagini. Se c’era un modo per umiliare e ridicolizzare il sano,
giusto e necessario istituto dell’immunità, lo hanno trovato.
Che le riforme
costituzionali si facciano in un clima di accordo, è encomiabile. Che l’accordo
s’intitoli al Nazareno, si presta a una doppia lettura, non priva di
beneagurante e altolocata protezione. Che la riscrittura della Costituzione,
perché di questo si tratta, passi tutta per la cruna dell’articolo 138, senza
esplicito mandato popolare, è ardito. Che i testi siano compitati da una
compagnia di partitanti, taluni dipartenti, la cui sensibilità istituzionale è
pari al delicato tocco con cui un rinoceronte suona l’arpa, ecco, questo è
preoccupante.
Tanto più che all’interno
del Pd, e in altri lidi partitici, c’è chi ancora pensa i parlamentari debbano
essere eletti, così come, per altro verso, c’è ancora chi crede l’Italia sia
uno Stato unitario. Anzi: la nuova generazione, che oggi guida la sinistra, ha,
giustamente, condannato con durezza la distruttiva riforma costituzionale del
titolo quinto, denominata federalista e voluta dalla passata generazione
sinistra (quella, comunque, cui i rampolli devono l’essere stati variamente
eletti). Ora, per quanto si voglia giocare a mosca cieca, è impossibile non
vedere due imponenti colonne, verso le quali puntano decisi i crani giulivi dei
costituenti domenicali: a. l’immunità è istituto degli eletti, perché si
conservi la volontà degli elettori; b. le assemblee legislative con
rappresentanze “regionali” sono tipiche degli stati federali, o il correttivo
localistico dei regimi presidenziali (nel qual caso, come in Francia, si
ripropone il bicameralismo tal quale qui lo si vorrebbe, a credere in quel che
si dice, superare). Sicché, di grazia, la domanda è: vogliono una riforma per
dire che s’è fatta la riforma o hanno in mente un modello che abbia una qualche
forma. Fin qui è animale informe, affetto da immuno-deficienza.
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