LA NORMA E’ RISPETTATA SOLO DAI PICCOLI COMUNI
Le regioni
ignorano il decreto del governo; e non solo. Altro che abolizione: solo pochi
mesi fa LA REGIONE
LAZIO HA ESTESO IL VITALIZIO AGLI ESTERNI, una decisione scandalosa
che ha avuto ben poca risonanza sui mass media nazionali (ne ha parlato solo
"Il Fatto Quotidiano" e poche altre testate locali) e anche l'opposizione
certo non si è "strappata i capelli", visto che in futuro,
sicuramente avranno modo di beneficiarne anche loro.... staff nocensura.com--di seguito l'articolo de
"Il Fatto Quotidiano" "Le Regioni ignorano il decreto del governo e
non tagliano assessori e consiglieri" La
legge 138/2011 che prevedeva la riduzione dei componenti dei consigli da 1.100
a 700 e degli uomini di giunta da 211 a 148 resta lettera morta. I Comuni sul
piede di guerra: l'Anci denuncia la disparità di trattamento tra gli enti
Quattrocento
consiglieri e centocinquanta assessori regionali di troppo, 110 enti enti che
sulla carta erano da abrogare ma che sono rimasti in piedi. Almeno per ora. I
furbetti della finanza pubblica hanno nome e cognome. Sono le Regioni e le
Province d’Italia che erano chiamate a una cura dimagrante ma che sono riuscite
a evitare abilmente tutti i tagli, compresi quelli al numero delle poltrone,
alle indennità, ai trattamenti previdenziali e al numero degli enti provincia. Le riduzioni erano previste dalla manovra di Ferragosto e
dovevano arrivare entro il 13 febbraio per essere applicate alle prime
elezioni, le amministrative di maggio. E invece tutto il corredo di tagli della
legge 138/2011 è rimasto lettera morta. A denunciarlo è un dossier del Sole24Ore che mette in fila numeri e metodi che hanno consentito agli
enti regionali e provinciali di fare esattamente il contrario del dettato
legislativo: mentre l’Italia dibatteva di ridurre costi e poltrone, Regioni e
Province non solo non facevano nulla per adeguarsi, ma facevano crescere la
spesa corrente come nulla fosse. I conti sono presto fatti. Le legge indicava
alle Regioni di ridurre il numero dei consiglieri da 1.109 a 700. A dover fare
i sacrifici maggiori erano quelle con un numero di poltrone abonorme rispetto
alle media. La Sicilia, ad esempio, doveva
passare da 90 a 50 consiglieri, la Sardegna da 80
a 30. Niente di tutto questo. Oggi, a sei mesi dalla legge, le uniche regioni
che hanno ridotto le poltrone sono Veneto e Toscana che sono passate rispettivamente da 60 a
50 consiglieri e da 90 a 50. Lombardia ed Emilia erano già in linea col
provvedimento
e infatti non hanno modificato la composizione dei rispettivi consigli. Le
altre, pur avendo consiglieri in eccesso, non hanno fatto proprio nulla. Un
problema per la finanza pubblica perché ogni consigliere – con differenze
territoriali forti – guadagna dai 6mila ai 15mila euro al mese. Anche prendendo
una media di 10 per le 409 poltrone che si voleva abolire il conto per i
cittadini e per la finanza pubblica è di 4 milioni al mese. Stesso discorso per
gli assessori: sono 211 e il decreto indicava una riduzione a 148 con un
risparmio di tre milioni. Ma anche su questo fronte la situazione è rimasta la
stessa: nessuna regione ha operato tagli e il record resta al Lazio che ancora
ha 16 assessori al posto dei 10 previsti. Così la beffa è servita e lo scotto
più duro da pagare tocca a chi i tagli chiesti dal governo non potrà esimersi
dal farli cioè ai comuni: è in corso un tavolo tecnico con Monti che si era
lasciato con una sorta di “tregua armata” ma a questo punto, vista la disparità
di trattamento tra enti, riprenderà decisamente armata. Lo conferma a
ilfattoquotidiano.it il direttore generale dell’Anci Angelo Rughetti che a quel tavolo partecipa
insieme ai rappresentanti dei comuni e definisce la vicenda come “cronaca di
una morte annunciata”. “Che nessuno avrebbe fatto le riduzioni indicate nel
decreto era chiaro. La scappatoia è nella riforma del Titolo V della
Costituzione che ascrive proprio alle Regioni la competenza legislativa in
materia di indennità, spese, rimborsi e previdenza. Un caso unico in Europa
perché in genere è un soggetto terzo a disciplinare queste materie invece in
Italia questa compentenza è risconosciuta in via eslusiva alle Regioni. Il
risultato è che queste dovendo decidere per sé fanno quello che vogliono e lo
Stato può emanare norme di carattere nazionale che per loro sono solo di
indirizzo senza obbligo giuridico”. E così è andata per le Regioni. La
questione però si fa economica e non solo politica. Sia per le cifre in ballo,
sia per i sacrifici che invece sono richiesti con valore di legge ai comuni,
ormai colpiti dalla sindrome di Calimero. “Per noi, al contrario, il Dl 78 e il
138 hanno forza di legge e quindi le riduzioni di poltrone e indennità hanno
effetto immediato. Alle prossime elezioni di maggio le amministrazioni si
voterà per eleggere amminsitrazioni con un numero di consiglieri ridotti della
metà, da 12 a 6 con l’aggravio che basterà che due consiglieri cambino idea su
un piano regolarore che la maggioranza potrà saltare con conseguenze nefaste
per l’aumentato potere dei singoli rispetto all’andamento generale della
macchina pubblica”. Ma che le cose sarebbero andate così c’era più di un
sospetto quando la commissione guidata dal presidente dell’Istat Giovannini fu
chiamata ad analizzare i costi degli enti locali. “Noi abbiamo portato
puntualmente i compensi netti e lordi degli amministratori locali, le Regioni
non hanno portato nulla”. Sempre con la scusa del federalismo e dell’autonomia.
Il risultato è un divario crescente con la spesa dei comuni che si è ridotta
(come pure gli investimenti) e quella di Regioni e Province che non solo è
rimasta uguale ma è addirittura aumentata. “Le spese dei comuni sono sotto
controllo perché l’aumento è standardizzato all’inflazione. Quella degli enti
Provincia che si voleva abolire è aumentata di 6 miliardi. Quella delle regioni
aumenta con un artificio: avendo competenze in materia sanitaria le Regioni
riescono a qualificare com spesa sanitaria anche quello che non lo è e siccome
è una voce incomprimibile hanno facile gioco nell’ottenere quanto chiedono, con
un effetto moltiplicatore dei costi per la finanza pubblica”. Insomma come e
più di prima.
Se non bastasse quel decreto disatteso nei fatti è anche impugnato presso al Corte Costituzionale da tutte le Regioni, a scanso di equivoci. Così sul tavolo del Governo resta solo la finanza locale dei comuni da tagliare. “Per questo al prossimo incontro con l’esecutivo porremo la questione della disparità di trattamento che va contro l’articolo 114 della Costituzione e contro i cittadini”, dice Rughetti. Ma i comuni hanno effettivamente risparmiato? “Si, lo dice la Corte dei Conti. Nel 2010 la spesa per 8mila amministrazioni era di 70 miliardi, nel 2011 è scesa a 64,6”. E poi c’è un punto irrisolto, la disparità tra trattamento economico e responsabilità: “I consiglieri regionali non hanno responsabilità amministrativa ma solo politica eppure guadagnano il doppio di un sindaco di città capoluogo di provincia. Un sindaco può essere chiamato in giudizio con profili di responsabilità penale, contabile e civile. E nel 90% dei casi ha compensi da fame. Questo sistema che privilegia alcuni e mette sotto torchio sempre i soliti non può più reggere. Questo diremo a Monti”.
Se non bastasse quel decreto disatteso nei fatti è anche impugnato presso al Corte Costituzionale da tutte le Regioni, a scanso di equivoci. Così sul tavolo del Governo resta solo la finanza locale dei comuni da tagliare. “Per questo al prossimo incontro con l’esecutivo porremo la questione della disparità di trattamento che va contro l’articolo 114 della Costituzione e contro i cittadini”, dice Rughetti. Ma i comuni hanno effettivamente risparmiato? “Si, lo dice la Corte dei Conti. Nel 2010 la spesa per 8mila amministrazioni era di 70 miliardi, nel 2011 è scesa a 64,6”. E poi c’è un punto irrisolto, la disparità tra trattamento economico e responsabilità: “I consiglieri regionali non hanno responsabilità amministrativa ma solo politica eppure guadagnano il doppio di un sindaco di città capoluogo di provincia. Un sindaco può essere chiamato in giudizio con profili di responsabilità penale, contabile e civile. E nel 90% dei casi ha compensi da fame. Questo sistema che privilegia alcuni e mette sotto torchio sempre i soliti non può più reggere. Questo diremo a Monti”.
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