Una azienda con un patrimonio di 41 miliardi che
nel giro di un paio d’anni ne avesse persi così tanti da farlo scendere a soli
15, verrebbe considerata sana oppure oppure desterebbe se non altro l’interesse
di andarne a capire il motivo? E ancora di più: nel caso in cui questa
“azienda” fosse di importanza fondamentale non solo per i suoi azionisti ma per
l’intero Paese del quale fa parte, sarebbe il caso, a livello informativo, di
dare risalto alla notizia e di farla entrare nel dibattito pubblico? Le
risposte sono scontate, ma le domande servono a introdurre l’argomento. Perché
lo Stato del quale parliamo è l’Italia, e l’”azienda” con questi conti
disastrati si chiama Inps. L’istituto di previdenza, infatti, aveva a inizio
2011 un patrimonio di 41 miliardi, come detto, il quale si è ridotto a soli 15
in 24 mesi. Ma è a livello tendenziale che le cose peggiorano e destano ancora
più preoccupazione. Il primo, motivo principale di questo calo del patrimonio,
è relativo alla fusione recente di Inpdap e Inps, cioè il fatto che il sistema
pensionistico del settore pubblico sia stato fatto confluire all’interno di
quello del settore privato (operazione datata appunto 2012). La fusione di
questi due enti era stata prevista trionfalmente, comunicando che, per via dei
tagli alle spese che tale operazione avrebbe comportato si sarebbero
risparmiate alcune centinaia di milioni di euro. Cosa puntualmente ancora non
verificata, visto che sia la prevista gestione unica degli immobili dei due
enti sia la razionalizzazione del personale è ancora di là dal venire.
Nel frattempo, però, questo matrimonio ha portato
in dote al sistema pensionistico del settore privato oltre 10 miliardi di
rosso, contribuendo ad affossare ancora di più le riserve originarie dell’Inps
conteggiate a fine 2011.
Il secondo dato allarmante contiene una
riflessione interessante, visto che, come si dice, a pensar male si fa peccato
ma spesso ci si prende. Dunque, il grande buco dell’Inpdap – che, ribadiamo,
era l’ente pensionistico dei dipendenti del settore pubblico – dipende
direttamente da un elemento chiave: le pubbliche amministrazioni, da tempo e in
modo diffuso, non stanno pagando del tutto i contributi pensionistici dovuti
dei propri dipendenti. Si tratta di una somma stimata in circa 30 miliardi, che
grava ovviamente sul bilancio già fortemente compromesso dello Stato ma che,
attenzione, non è ancora stato messo agli atti, visto che proprio mediante la
fusione con l’Inps è stato, per il momento, occultato.
Ora, già il fatto che le amministrazioni
pubbliche non stiano versando tutti i contributi dei dipendenti, cioè che lo Stato sia
moroso verso se stesso e i suoi dipendenti, è cosa che dovrebbe chiarire da
sola la situazione generale. Ma che ora – ed eccoci alla riflessione poco
ortodossa accennata poc’anzi – vi sia stata questa misura di accorpamento tra
Inpdap e Inps fa venire più di qualche dubbio. È come se – meglio: è – lo Stato
avesse scelto di prendere un proprio ente in forte deficit (nel quale da una
parte doveva far confluire alcune proprie spese, cioè i contributi dei
dipendenti, e dall’altra far uscire altre spese, cioè l’erogazione delle
pensioni) e lo avesse inserito, come un cavallo di troia malefico, nell’altro
ente (l’Inps) in cui sono i privati a far confluire i propri contributi per
unire il tutto in un calderone, prossimo al collasso, sul quale far gravare un
fallimento complessivo. Tra un po’, in altre parole, siccome l’Inps, con il patrimonio
così drasticamente intaccato e con i conti tendenziali in rosso, non potrà più
erogare le pensioni, si prenderà atto della cosa dimenticandosi che buona parte
di questo scenario catastrofico dipende proprio dai mancati versamenti del
settore pubblico.
L’Inps sta finendo nel buco nero statale e dunque le pensioni non potranno
essere più erogate a breve. Molto a breve, a meno di stravolgimenti
sistemici (uscita dall’Euro e ripresa della sovranità monetaria, ad esempio)
che per ora comunque non sono all’orizzonte. Il che apre scenari non
preoccupanti, ma terrorizzanti. Nel silenzio generale di chi sa ma non vuole
far sapere
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