Piersante e Mirella Macaccaro, i figli del maresciallo-eroe Il
maresciallo salvò decine di famiglie
ebree
L'Arena - Gli abitanti di Bagnacavallo
si attrezzano, predispongono rifugi per gli ospiti, vengono scavate gallerie,
approntati nascondigli negli argini dei fiumi.
Il titolo
di «Giusto tra le nazioni» per l'eroico maresciallo che salvò dai campi di
sterminio decine di famiglie ebree fugite da Fiume e rifugiate a Bagnacavallo, in Romagna. E' il sogno
di Piersante e Mirella Macaccaro, che 70 anni dopo i fatti hanno scoperto di
avere avuto un padre eroe. Tutto merito di un cronista de «La Voce di Romagna», capace di ricostruire per intero la «grande
fuga» del novembre 1943. Solo un anno fa, dopo decine di anni di ricerche, si è
scoperto il nome dell'eroico carabiniere che fu il punto di innesco di una
straordinaria azione umanitaria. E quell'episodio, diventato il simbolo del
Giorno della memoria in tutta la bassa Romagna, inorgoglisce Verona dove
Ezechiele Macaccaro, il maresciallo eroe, era nato il 10 aprile del 1897. «Mio
padre non ha mai voluto raccontare niente», esordisce Piersante Macaccaro, che
abita dal 1980 a Monteforte d'Alpone. «Sapevo solo, ma perchè coglievo qualche
parola tra mia madre e mio padre, che lui aveva aiutato degli ebrei. Cosa ci
fosse dietro proprio non me lo sarei mai immaginato: è una gioia immensa, che
sarà piena quando anche lui sarà annoverato tra i Giusti». E dunque torniamo
all'estate del 1943: la persecuzione degli ebrei spinge centinaia di famiglie
di Fiume a lasciare le proprie case. Radunate in fretta le proprie cose gli
esuli si mettono in cammino: molti puntano all'Emilia Romagna e un gruppo molto
numeroso arriva a Bagnacavallo. Nessuno, nel paese, si tira indietro: a rischio
della propria incolumità, ognuno apre le proprie case agli esuli. Gli abitanti
di Bagnacavallo si attrezzano, predispongono rifugi per gli ospiti, vengono
scavate gallerie, approntati nascondigli negli argini dei fiumi. Alla firma
dell'armistizio, l'8 settembre, in caserma i carabinieri restano al loro posto.
Così dispone ai suoi tredici uomini il maresciallo Macaccaro,
arrivato
un anno prima assieme alla moglie Silvia Pozzaglio e ai figli Mirella, di 8
anni, e Piersante, che ne ha 7. Lui sa che dalla caserma passeranno
informazioni preziose e sa da sempre da che parte stare: sa che se ci sarà
pericolo, lui starà dalla parte degli ebrei. Comincia, dunque, a lavorare
nell'ombra assieme a Vincenzo Tambini, che abitava accanto alla caserma, e ad
Antonio Dalla Valle. Si compone così la triade che solo qualche mese dopo
organizza «la grande fuga». Non si sa se Macaccaro parli apertamente ai suoi
uomini: di sicuro c'è che questi ultimi sanno benissimo cosa sta facendo e sono
con lui. A Bagnacavallo, nel frattempo, l'aria si fa molto pesante: un sabato
del novembre 1943 la Gestapo fa arrivare in caserma una lista con sopra i nomi
di tutti gli ebrei nascosti nella zona, ma anche quelli di chi offre loro
riparo. L'obiettivo è chiaro: catturarli tutti. Macaccaro non perde un istante
e fa partire la macchina della «grande fuga». Passa la notizia a Tambini che a
sua volta innesca il passaparola che, alla fine, coinvolge praticamente tutto
il paese. Mentre gli ebrei ammassano le loro cose, i ravennati fanno sparire
dalle case ogni traccia dei rifugiati: al calar della notte un paese intero si
mette in movimento, e mentre dalle finestre vengono calate valigie ed effetti
personali, decine e decine di esuli si incamminano a piedi nei campi, facendo
perdere le proprie tracce. Quando viene giorno, e i mezzi della Gestapo
arrivano in paese, di ebrei non c'è la minima traccia: i tedeschi passano le
case palmo a palmo, ma il comandante della Gestapo finisce così il suo
rapporto: «Certamente un falso allarme». Erano salvi gli esuli fiumani, erano
salvi i generosi abitanti di Bagnacavallo che li avevano ospitati ed erano
salvi anche il maresciallo e i suoi uomini. Macaccaro rimase alla testa della
caserma fino al luglio del 1944, fino a quando, cioè, per ragioni di salute
dovette lasciare Bagnacavallo per Volongo, in provincia di Cremona. Il comando
della stazione carabinieri venne assunto da un sottufficiale della Guardia
nazionale repubblichina. Il 13 agosto, però, i nazifascisti arrestarono e
deportarono in Germania tutti e 13 gli uomini di Macaccaro. E poco dopo, prima
di darsi alla fuga, distrussero ogni documento custodito in caserma. «Dopo la
Liberazione, mio padre prese servizio a Canneto sull'Oglio, nel Mantovano,
dove, dopo un periodo a Bozzolo, tornò fino alla pensione. A Verona»,
raccontano Piersante e Mirella, «tornammo all'inizio degli anni Sessanta».
Ezechiele morirà a Negrar il 6 aprile 1981, mantenendo fino alla fine la
consegna del silenzio che si era imposto. Paola Dalli Cani
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