lunedì 27 gennaio 2014

IL MARESCIALLO MACACCARO SALVO’ DECINE DI FAMIGLIE EBREE

Piersante e Mirella Macaccaro, i figli del maresciallo-eroe Il maresciallo salvò  decine di famiglie ebree


L'Arena - Gli abitanti di Bagnacavallo si attrezzano, predispongono rifugi per gli ospiti, vengono scavate gallerie, approntati nascondigli negli argini dei fiumi.
Il titolo di «Giusto tra le nazioni» per l'eroico maresciallo che salvò dai campi di sterminio decine di famiglie ebree fugite da Fiume e rifugiate a Bagnacavallo, in Romagna. E' il sogno di Piersante e Mirella Macaccaro, che 70 anni dopo i fatti hanno scoperto di avere avuto un padre eroe. Tutto merito di un cronista de «La Voce di Romagna», capace di ricostruire per intero la «grande fuga» del novembre 1943. Solo un anno fa, dopo decine di anni di ricerche, si è scoperto il nome dell'eroico carabiniere che fu il punto di innesco di una straordinaria azione umanitaria. E quell'episodio, diventato il simbolo del Giorno della memoria in tutta la bassa Romagna, inorgoglisce Verona dove Ezechiele Macaccaro, il maresciallo eroe, era nato il 10 aprile del 1897. «Mio padre non ha mai voluto raccontare niente», esordisce Piersante Macaccaro, che abita dal 1980 a Monteforte d'Alpone. «Sapevo solo, ma perchè coglievo qualche parola tra mia madre e mio padre, che lui aveva aiutato degli ebrei. Cosa ci fosse dietro proprio non me lo sarei mai immaginato: è una gioia immensa, che sarà piena quando anche lui sarà annoverato tra i Giusti». E dunque torniamo all'estate del 1943: la persecuzione degli ebrei spinge centinaia di famiglie di Fiume a lasciare le proprie case. Radunate in fretta le proprie cose gli esuli si mettono in cammino: molti puntano all'Emilia Romagna e un gruppo molto numeroso arriva a Bagnacavallo. Nessuno, nel paese, si tira indietro: a rischio della propria incolumità, ognuno apre le proprie case agli esuli. Gli abitanti di Bagnacavallo si attrezzano, predispongono rifugi per gli ospiti, vengono scavate gallerie, approntati nascondigli negli argini dei fiumi. Alla firma dell'armistizio, l'8 settembre, in caserma i carabinieri restano al loro posto. Così dispone ai suoi tredici uomini il maresciallo Macaccaro,




arrivato un anno prima assieme alla moglie Silvia Pozzaglio e ai figli Mirella, di 8 anni, e Piersante, che ne ha 7. Lui sa che dalla caserma passeranno informazioni preziose e sa da sempre da che parte stare: sa che se ci sarà pericolo, lui starà dalla parte degli ebrei. Comincia, dunque, a lavorare nell'ombra assieme a Vincenzo Tambini, che abitava accanto alla caserma, e ad Antonio Dalla Valle. Si compone così la triade che solo qualche mese dopo organizza «la grande fuga». Non si sa se Macaccaro parli apertamente ai suoi uomini: di sicuro c'è che questi ultimi sanno benissimo cosa sta facendo e sono con lui. A Bagnacavallo, nel frattempo, l'aria si fa molto pesante: un sabato del novembre 1943 la Gestapo fa arrivare in caserma una lista con sopra i nomi di tutti gli ebrei nascosti nella zona, ma anche quelli di chi offre loro riparo. L'obiettivo è chiaro: catturarli tutti. Macaccaro non perde un istante e fa partire la macchina della «grande fuga». Passa la notizia a Tambini che a sua volta innesca il passaparola che, alla fine, coinvolge praticamente tutto il paese. Mentre gli ebrei ammassano le loro cose, i ravennati fanno sparire dalle case ogni traccia dei rifugiati: al calar della notte un paese intero si mette in movimento, e mentre dalle finestre vengono calate valigie ed effetti personali, decine e decine di esuli si incamminano a piedi nei campi, facendo perdere le proprie tracce. Quando viene giorno, e i mezzi della Gestapo arrivano in paese, di ebrei non c'è la minima traccia: i tedeschi passano le case palmo a palmo, ma il comandante della Gestapo finisce così il suo rapporto: «Certamente un falso allarme». Erano salvi gli esuli fiumani, erano salvi i generosi abitanti di Bagnacavallo che li avevano ospitati ed erano salvi anche il maresciallo e i suoi uomini. Macaccaro rimase alla testa della caserma fino al luglio del 1944, fino a quando, cioè, per ragioni di salute dovette lasciare Bagnacavallo per Volongo, in provincia di Cremona. Il comando della stazione carabinieri venne assunto da un sottufficiale della Guardia nazionale repubblichina. Il 13 agosto, però, i nazifascisti arrestarono e deportarono in Germania tutti e 13 gli uomini di Macaccaro. E poco dopo, prima di darsi alla fuga, distrussero ogni documento custodito in caserma. «Dopo la Liberazione, mio padre prese servizio a Canneto sull'Oglio, nel Mantovano, dove, dopo un periodo a Bozzolo, tornò fino alla pensione. A Verona», raccontano Piersante e Mirella, «tornammo all'inizio degli anni Sessanta». Ezechiele morirà a Negrar il 6 aprile 1981, mantenendo fino alla fine la consegna del silenzio che si era imposto. Paola Dalli Cani


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