La concezione bizzarra (ma dovremmo piuttosto definirla in malafede) che la sinistra e i suoi giornali hanno del ruolo di un capo di governo e della stessa stabilità politica, porta oggi Repubblica a definire “mercato dei deputati” l’eventuale appoggio all’esecutivo di oltre venti parlamentari appartenenti a formazioni centriste e moderate. Di più. Secondo il quotidiano di largo Fochetti, essi “non sono i voltagabbana e neppure i traditori, sono i topi che per tutta la vita aspettano il loro pezzo di formaggio”. Ma di che cosa stiamo, o stanno parlando? A parte la considerazione che molti di questi parlamentari sono stati eletti nelle file del centrodestra, e che altri – per esempio i sudtirolesi – hanno chiaramente motivato il loro eventuale sì al governo con il desiderio di stabilità politica che Silvio Berlusconi può garantire in questo momento, sarebbe curioso sapere come mai, per la sinistra ed i suoi organi militanti, è un grande fatto di democrazia se all’interno del Popolo della Libertà viene costituito un ipotetico gruppo parlamentare autonomo, mentre se accade il contrario, se deputati e senatori decidono di appoggiare il governo da fuori, è invece un mercato. Nel primo caso, tutti eroi, pronti magari ad essere arruolati e intervistati nella sinistra e nei suoi talk show. Nel secondo, topi in attesa di formaggio.
Questa concezione delle cose, questo modo di raccontare la politica non sono solo offensivi: sono ridicoli. È l’inequivocabile risultato dell’ennesima speranza andata buca: la speranza che Berlusconi potesse cadere non per il voto popolare, ma per qualche manovra di Palazzo. Tutto ciò, come abbiamo già detto, non accadrà. Si può chiedere (non a Repubblica, ovviamente) quale debba essere il compito di un premier o di un capo di governo, se non quello di garantirsi la maggioranza per un piano di riforme chiaramente e trasparentemente annunciato.
Lo ha fatto Obama per la riforma sanitaria americana, e tutti hanno lodato la sagacia del presidente Usa. Lo ha fatto David Cameron trattando l’ingresso nel governo conservatore dei liberali. Angela Merkel ha coabitato anch’essa con i liberaldemocratici. Non può farlo Berlusconi? La cosa non riuscì invece a Romano Prodi, che andò avanti giorno per giorno grazie al solo voto dei senatori a vita, cioè dei non eletti, e che a un certo punto promise ai rappresentanti dell’Svp generosi sgravi fiscali sui carburanti: non era quello un “mercato”?
Oggi il valore da garantire è la stabilità: sia politica sia nell’azione di governo. La stabilità la vogliono tutti: il centrodestra e, seppure senza dirlo, la sinistra che ha paura delle urne. Nessuno dall’opposizione parla di voto anticipato. Tutti chiedono invece governi e governicchi tecnici: in quel caso come andrebbe definita una maggioranza che appoggiasse un esecutivo non frutto della volontà popolare? Un mercato? Un bazar? Un suk?
Ma la stabilità la chiedono soprattutto i ceti produttivi del Paese, i lavoratori e gli imprenditori, la reclamano i mercati ed i partner internazionali, dall’Unione europea alla Russia. E’ dunque un dovere, oltre che un diritto del premier, garantire al Paese questa stabilità.
L’Italia ha di fronte almeno altri tre anni non solo di legislatura, ma di centrodestra. Tre anni per i quali esiste un calendario di riforme e cose da fare già preciso. Tre anni non per tirare a campare come Prodi, o come durante la prima repubblica, ma per fare.
Ecco perché l’appello ai moderati fatto in Parlamento è logico, doveroso e trasparente. Ed ecco perché il premier ha deciso di sottoporre al voto parlamentare questo suo programma.
La sinistra dovrebbe invece guardare al proprio interno. Nel Pd si parla di scissioni e di gruppi autonomi. La “festa democratica” di Torino è andata avanti tra comizi e intolleranza, senza nessuna indicazione precisa. I consensi e i sondaggi, da quelle parti, seguitano a portare pessime notizie. Sarebbe bello, per la sinistra, che questo governo si togliesse cortesemente di mezzo, nonostante abbia dalla propria la stragrande maggioranza degli italiani. Le piacerebbe. D’altra parte le uniche vittorie che conoscono, sempre a sinistra, sono quelle assegnate non dalla gente, ma a tavolino.
Lo show è comunque appena all’inizio. A breve riaprono i teatrini televisivi, finanziati dal canone. Il copione è già scritto; il finale pure.