sabato 13 novembre 2010

PERCHE’ SI DEVE DIMETTERE?

Ma perché dovrebbe dimettersi? Perché l’ha chiesto ieri sera, ad AnnoZero, Italo Bocchino, con queste testuali parole: “Silvio Berlusconi ritiene di avere costruito lui Palazzo Chigi e vuol lasciarlo ai figli Marina e Piersilvio”? Perché domenica scorsa in un comizio a Bastia Umbra il presidente della Camera ha invocato (anzi, intimato) un percorso bizantino di crisi “pilotata”, con dimissioni del premier, allargamento della maggioranza all’Udc, reincarico allo stesso Berlusconi, nuovo governo con nuovo programma “da discutere”? Se questa è la correttezza costituzionale e istituzionale di un partito appena fondato dalla terza carica dello Stato, stiamo freschi. Siamo fuori da ogni prassi della Costituzione, che prevede le dimissioni del capo del governo – e di conseguenza dell’intero esecutivo – in due casi: per il venir meno della fiducia in Parlamento, a seguito di un voto motivato di sfiducia; oppure volontarie da parte del presidente del Consiglio, e in questo caso è prassi che il Quirinale rinvii sempre alle Camere il governo perché lì, in Parlamento, sia sanzionata la sfiducia. In altri termini, il governo non è – e la Costituzione lo impedisce – una sorta di albergo con le porte girevoli. Uno entra, l’altro esce. Chi occupa una carica di rilievo nelle istituzioni dovrebbe saperlo meglio di altri. Chi, a cominciare dalla sinistra, ha sempre agitato il vessillo della difesa della Costituzione, dovrebbe saperlo egualmente.



La realtà è che tutti, dalla sinistra a Fli, temono che una crisi di governo secondo Costituzione porti alle elezioni anticipate. Che tutti pensano di perdere. In altri termini che, una volta sfiduciato il governo in Parlamento, e verificato da parte del capo dello Stato che non esiste in questo momento una maggioranza diversa per guidare il Paese, si vada appunto al giudizio delle urne. Che potrebbe essere impietoso nei confronti di chi ha provocato una crisi in questa situazione economica mondiale.

Insomma, come è stato detto perfino in un talk show che ha fatto dell’antiberlusconismo la ragion d’essere, emerge che quella contro Berlusconi è “una fronda di palazzo”, e che i frondisti risultano per quello che sono, cioè degli irresponsabili.

Da qui si torna alla domanda iniziale. Perché Berlusconi dovrebbe dimettersi? Il 29 settembre, non un anno fa, ha ottenuto dal Parlamento una fiducia larghissima su un programma di riforme economiche e sociali. Qualcuno che l’ha votato ha cambiato idea? Lo dica. Per la verità Fini qualcosa ha accennato: “I cinque punticini di Berlusconi…”. Allora, se quei cinque punti erano solo punticini, i finiani possono andare in Parlamento e certificare che un mese e mezzo fa si erano sbagliati. Loro.

Se invece il motivo è diverso, cioè che nella maggioranza c’è chi vuol passare dall’altra parte, con la sinistra, certifichi questo suo ribaltone. Come ha dichiarato un esponente di Fli, Fabio Granata, “potremmo allearci con Nichi Vendola”. Dai futuristi a Rifondazione: gli arditi del popolo. Dovrebbero spiegarlo agli elettori della “nuova destra”.

Andiamo avanti: perché Berlusconi dovrebbe dimettersi? La situazione economica italiana e mondiale, le cose fatte e da fare, sono tali da indurre un capo di governo e piantare a metà il proprio lavoro per consentire giri di valzer parlamentari? Berlusconi è a palazzo Chigi non perché “l’abbia costruito lui”, ma perché ce l’hanno mandato gli elettori e perché il Parlamento, appena un mese e mezzo fa, gli ha confermato la fiducia. Ora dovrebbe scansarsi, farsi da parte? Con quale senso di responsabilità, spiegando che cosa ai cittadini?

Vengono evocati i mercati e la situazione economica. Bene, in queste turbolenze dei mercati e in questa situazione economica non esiste in nessuna parte del mondo un governo che si dimetta per giochini di palazzo. A meno che non gli venga meno la sfiducia in Parlamento. I governi, tutti quelli del G 20 che ieri erano riuniti a Seul assieme a Berlusconi, non se ne vanno: governano e se ne assumono le responsabilità. Spesso a costo di provvedimenti impopolari, come quelli presi da Sarkozy o James Cameron. Neppure quando perdono la maggioranza in un ramo del congresso, come Barack Obama. Berlusconi non ha detto che non si dimetterà a nessun costo, come sostengono taluni frondisti. Ha detto che lo farà se gli verrà meno la fiducia parlamentare, secondo prassi costituzionale. Ma nessuno, di quelli al lavoro su governi tecnici e ribaltonisti, ha il coraggio di mostrarsi per quello che è: uno che, anziché al Paese, pensa a ordire manovre. E poi dicono che lo fanno nell’interesse dell’Italia. La storia si ripete. Ogni volta che ha legittimamente vinto le elezioni e ricevuto un mandato popolare, si cerca di “mandare a casa” Berlusconi. Non sconfiggerlo politicamente o sulle cose concrete: “mandarlo a casa”. E’ accaduto nel ’95, la storia si è ripetuta nei 15 anni successivi. Per “mandare a casa” Berlusconi si sono coalizzate tutte le forze di sinistra, con il contributo costante delle procure. Si è fatto appello a tutto, dai veleni personali alle alluvioni. I governi che lo hanno sostituito erano talmente forti e credibili che una volta ne sono caduti cinque in cinque anni, e l’altra volta due in due anni.

Solo così si è mandato a casa Berlusconi. Ora, a quanto pare, ha deciso di dare una mano anche il presidente della Camera, spostandosi dall’estrema destra all’estrema sinistra. Abbiamo già detto che è paradossale che una carica istituzionale, anziché fare da arbitro, si getti nella mischia, commetta falli e tiri pure il rigore. Dovrà pure spiegare, ai suoi elettori, perché la “nuova destra” non vede l’ora di allearsi con la sinistra.

Ma dovrà spiegarlo lui, non pretendere che un premier pienamente legittimato si faccia cortesemente da parte, per mere ragioni di potere altrui.

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