giovedì 29 marzo 2012

CROSETTO: FORZA ITALIA? CI SCOMMETTO ANCORA


IL PARTITO DEVE RIPARTIRE DA LI: ERAVAMO CERTI DI POTER CAMBIARE IL PAESE. E AVEVAMO PIU’ DOVERI CHE DIRITTI.  FORZA BERLUSCONI


Onorevole Guido Crosetto, nel Pdl è in corso un fenomeno di gemmazione di piccole sigle che localmente sembrano ispirarsi a Forza Italia. C’è nostalgia di quell’esperienza? «Difficile dirlo, è un fenomeno che ha aspetti diversi in sede locale. Di sicuro è un segnale di fermento e il fermento non fa paura, un partito deve avere paura soltanto di morire». Si può leggere come una ricerca di identità in un momento di difficoltà per la politica? «Sì, probabilmente è fisiologico in questa fase. Il Pdl vive una fase storica difficile come tutti i partiti. In un certo siamo tutti impreparati, tutta una generazione di politici lo è. Siamo stati abituati a concepire la politica come distribuzione selettiva della spesa pubblica, ora il compito è decidere a chi fare più dispetto». La politica è in grado di reggere all’onda d’urto del malcontento? «Deve farlo, non c’è altro strumento per la democrazia. Anche se migliorare la selezione della classe dirigente è sicuramente possibile». Il Pdl riuscirà a tenere insieme le sue varie anime? «Un grande partito dei moderati deve necessariamente avere coloriture diverse al suo interno. Il dibattito che ci riguarda si ascolta anche nella Cdu tedesca. E comunque è un fatto che le grandi battaglie ideali che Silvio Berlusconi ha portato in politica - dal ritorno della centralità del privato cittadino alla lotta contro lo strapotere dello Stato, fino all’introduzione di una nuova comunicazione politica - hanno oggi una attualità fortissima». Il Pdl quindi deve resistere ed evitare scomposizioni e ricomposizioni? «Tutti noi che abbiamo partecipato al sogno di Forza Italia sappiamo di aver investito in una scommessa che non siamo stati in grado di vincere. Dobbiamo continuare a combattere insieme, tenendo presente che politicamente il Pdl è ancora un bebè e dobbiamo dargli il tempo di crescere». Lei crede al grande duello sotterraneo tra ex Forza Italia ed ex An per la conquista del partito? «Ci credo poco sinceramente. Bisogna guardare avanti e capire che la sfida deve essere piuttosto tra chi ha da dire qualcosa e chi non ce l’ha». Il processo di democratizzazione del Pdl e il confronto interno sulla base dei numeri, delle tessere e del consenso sul territorio è un aspetto positivo o negativo? «Il Pdl in questa fase aveva necessità di


affrontare la stagione congressuale. I criteri di selezione della classe dirigente però non possono limitarsi alla contabilità delle tessere perché a noi servono soprattutto idee. In questo senso dobbiamo individuare griglie e reti che ci consentano di trovare il meglio. O perlomeno di escludere il peggio». Come si fa a far tornare popolare la politica? «Una cosa da fare subito e bene c’è: rivedere il finanziamento pubblico ai partiti, renderlo trasparente  e favorire la facoltà autonoma di ricerca dei fondi». Il 27 marzo del ’94 Forza Italia vinse le elezioni. Lei ha nostalgia di quella stagione?
«Ho nostalgia di quello spirito, di quella convinzione rivoluzionaria: la convinzione di poter cambiare il Paese». Il governo Monti può far scattare una scossa o può rappresentare la fine della politica?
«La politica è sintesi di esperienze sul campo. Il governo Monti avrà una incidenza salutare. È la dimostrazione che non esiste né tecnica senza politica né politica senza tecnica. Di certo è finita l’epoca in cui i politici parlavano di tutto, serve competenza e specializzazione». C’è qualcosa di pratico e concreto che trasferirebbe da Forza Italia al Pdl? «La capacità organizzativa. Territorialmente il partito visse una fase straordinaria. Ai dirigenti venivano assegnati compiti e obiettivi precisi. Al di là di quello che si poteva pensare c’erano pochi diritti e molti doveri. I luccichii andavano bene per le convention ma poi bisognava trottare».
Ha senso un ritorno alle origini senza il carisma di  Berlusconi? Abbiamo avuto la fortuna di salire su un carro trainato in campagna elettorale da una sola persona. Fa comodo fare politica così. Ora siamo noi a doverci sporcare di terra per conquistare il consenso».

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