IL PARTITO DEVE RIPARTIRE DA LI: ERAVAMO CERTI DI POTER CAMBIARE IL PAESE. E AVEVAMO PIU’ DOVERI CHE DIRITTI. FORZA BERLUSCONI
Onorevole Guido Crosetto,
nel Pdl è in corso un fenomeno di gemmazione di piccole sigle che localmente
sembrano ispirarsi a Forza Italia. C’è nostalgia di quell’esperienza? «Difficile
dirlo, è un fenomeno che ha aspetti diversi in sede locale. Di sicuro è un segnale
di fermento e il fermento non fa paura, un partito deve avere paura soltanto di
morire». Si può leggere come una ricerca di identità in un momento di
difficoltà per la politica? «Sì, probabilmente è fisiologico in questa
fase. Il Pdl vive una fase storica difficile come tutti i partiti. In un certo
siamo tutti impreparati, tutta una generazione di politici lo è. Siamo stati
abituati a concepire la politica come distribuzione selettiva della spesa
pubblica, ora il compito è decidere a chi fare più dispetto». La politica è
in grado di reggere all’onda d’urto del malcontento? «Deve farlo, non c’è
altro strumento per la democrazia. Anche se migliorare la selezione della
classe dirigente è sicuramente possibile». Il Pdl riuscirà a tenere insieme
le sue varie anime? «Un grande partito dei moderati deve necessariamente
avere coloriture diverse al suo interno. Il dibattito che ci riguarda si
ascolta anche nella Cdu tedesca. E comunque è un fatto che le grandi battaglie
ideali che Silvio Berlusconi ha portato in politica - dal ritorno della
centralità del privato cittadino alla lotta contro lo strapotere dello Stato,
fino all’introduzione di una nuova comunicazione politica - hanno oggi una
attualità fortissima». Il Pdl quindi deve resistere ed evitare scomposizioni
e ricomposizioni? «Tutti noi che abbiamo partecipato al sogno di Forza
Italia sappiamo di aver investito in una scommessa che non siamo stati in grado
di vincere. Dobbiamo continuare a combattere insieme, tenendo presente che
politicamente il Pdl è ancora un bebè e dobbiamo dargli il tempo di crescere». Lei
crede al grande duello sotterraneo tra ex Forza Italia ed ex An per la
conquista del partito? «Ci credo poco sinceramente. Bisogna guardare avanti
e capire che la sfida deve essere piuttosto tra chi ha da dire qualcosa e chi
non ce l’ha». Il processo di democratizzazione del Pdl e il confronto
interno sulla base dei numeri, delle tessere e del consenso sul territorio è un
aspetto positivo o negativo? «Il Pdl in questa fase aveva necessità di
affrontare la stagione
congressuale. I criteri di selezione della classe dirigente però non possono
limitarsi alla contabilità delle tessere perché a noi servono soprattutto idee.
In questo senso dobbiamo individuare griglie e reti che ci consentano di
trovare il meglio. O perlomeno di escludere il peggio». Come si fa a far
tornare popolare la politica? «Una cosa da fare subito e bene c’è: rivedere
il finanziamento pubblico ai partiti, renderlo trasparente e favorire la facoltà autonoma di ricerca dei
fondi». Il 27 marzo del ’94 Forza Italia vinse le elezioni. Lei ha nostalgia
di quella stagione?
«Ho nostalgia di quello spirito, di quella convinzione rivoluzionaria: la convinzione di poter cambiare il Paese». Il governo Monti può far scattare una scossa o può rappresentare la fine della politica?
«La politica è sintesi di esperienze sul campo. Il governo Monti avrà una incidenza salutare. È la dimostrazione che non esiste né tecnica senza politica né politica senza tecnica. Di certo è finita l’epoca in cui i politici parlavano di tutto, serve competenza e specializzazione». C’è qualcosa di pratico e concreto che trasferirebbe da Forza Italia al Pdl? «La capacità organizzativa. Territorialmente il partito visse una fase straordinaria. Ai dirigenti venivano assegnati compiti e obiettivi precisi. Al di là di quello che si poteva pensare c’erano pochi diritti e molti doveri. I luccichii andavano bene per le convention ma poi bisognava trottare». Ha senso un ritorno alle origini senza il carisma di Berlusconi? Abbiamo avuto la fortuna di salire su un carro trainato in campagna elettorale da una sola persona. Fa comodo fare politica così. Ora siamo noi a doverci sporcare di terra per conquistare il consenso».
«Ho nostalgia di quello spirito, di quella convinzione rivoluzionaria: la convinzione di poter cambiare il Paese». Il governo Monti può far scattare una scossa o può rappresentare la fine della politica?
«La politica è sintesi di esperienze sul campo. Il governo Monti avrà una incidenza salutare. È la dimostrazione che non esiste né tecnica senza politica né politica senza tecnica. Di certo è finita l’epoca in cui i politici parlavano di tutto, serve competenza e specializzazione». C’è qualcosa di pratico e concreto che trasferirebbe da Forza Italia al Pdl? «La capacità organizzativa. Territorialmente il partito visse una fase straordinaria. Ai dirigenti venivano assegnati compiti e obiettivi precisi. Al di là di quello che si poteva pensare c’erano pochi diritti e molti doveri. I luccichii andavano bene per le convention ma poi bisognava trottare». Ha senso un ritorno alle origini senza il carisma di Berlusconi? Abbiamo avuto la fortuna di salire su un carro trainato in campagna elettorale da una sola persona. Fa comodo fare politica così. Ora siamo noi a doverci sporcare di terra per conquistare il consenso».
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