Poi, nei momenti difficili, è sempre l’Omone che fa
la differenza, Francesco Damiani da
Bagnacavallo. Uno che alla fine degli Anni Ottanta picchiava il mondo (è
stato il primo campione dei massimi versione WBO e ha battuto il mitico
Teofilo Stevenson che non perdeva da undici anni) e adesso insegna agli altri
come si fa. Ct azzurro. A Pechino e a Londra. Due Olimpiadi, sei medaglie.
Strepitoso. «Grazie, ma ho 54 anni e sono al capolinea». Damiani, perché? «Ero
in Rai a parlare dei Giochi e all’improvviso mi mettono in collegamento con
la mia tatolina». Tatolina? «Claudina.
Claudia, dai. Mia moglie». Favoloso. E
allora? «E allora lei ha detto una cosa che penso anch’io». Possiamo sapere? «Beh, certo (con la
e chiusa, alla romagnola). Ha detto: Francesco sei fantastico, hai fatto un
grande lavoro, ma questa è la tua ultima olimpiade da ct. E’ora che pensi
alla famiglia». Pensa anche lei di
essere fantastico? «In parte. Ma soprattutto che a Rio non ci sarò». Mollla dopo altre tre medaglie? «Esatto.
Se la federazione vuole una mano molto volentieri. Però non a questi ritmi.
Il ct lo può fare un altro. Io resto dai miei. E’un decennio che sono lontano
dalla mia tatolina». Come sono stati
questi anni? «Speciali e molto faticosi. Sa quanto ho visto Claudia negli
ultimi sei mesi?». No. «Quindici
giorni. Mica solo io. Anche i ragazzi, i magnifici sette. E anche lo staff.
Gente super. Fabio Morbidini, il fisioterapista e Raffaele Bergamasco, il mio
braccio destro. Grande gruppo. Senza un progetto non vai da nessuna parte». E voi dove siete andati? «In cima
alla montagna. Tre medaglie a Pechino. E tre medaglie qui. Siamo bravi, dai,
bisogna pur riconoscerlo. E abbiamo avuto fortuna. Un gruppo d’oro. Che ha
degli eredi. La scuola
c’è». Come lo
alleni un campione? «Gli fai fare fatica. Tanta. E poi lo motivi». La fatica? «Cinque ore e mezzo di
allenamento al giorno. Corsa, sacchi, tattica, tecnica. Un lavoro certosino.
La montagna, la piscina, le diete. Non trascuri niente. E vivi con lui. In
simbiosi. Per questo mollo. Troppa roba. Ma ne valeva la pena». Le motivazioni? «Quelle sono
decisive. Ogni testa è diversa. Cammarelle lo devi coccolare, lo devi fare
sentire amato, devi tenerlo al centro». E
Russo? «Russo al centro c’è già». Che
differenza c’è tra i due? «Cammarelle è uno che combatterebbe allo stesso
modo anche se fosse chiuso da solo in una palestra. E’un superprofessionista.
Fortissimo. Rapido. Pieno di colpi. Russo è un animale da palcoscenico. Ha un
carattere pazzesco. Non molla mai. Sa come vincere quando tutti pensano che
abbia già perso. Un grande. L’argento è un risultato di lusso. Era stanco. Ma
averne di gente così». Medzhidov, l’azero che ha perso con
Cammarelle in semifinale sembrava una macchina da guerra. Pesante. Cattivo.
Campione del mondo in carica. Come si batte uno così? «Con la classe.
Roberto ne ha da vendere. E’ arrivato a qui con la schiena a pezzi. Eppure è
finale. E’ cresciuto ogni match. Molti credono che la boxe sia solo potenza.
E invece è forza, rapidità, mobilità e intelligenza. Basta che ti manchi una
di queste doti e sei in difficoltà. A Roberto non manca niente». Magari gli manca l’appoggio delle giurie.
«A Londra abbiamo visto arbitraggi strani. E questa storia dei ricorsi è
una vergogna. Se accoglievano quello dell’azero ritiravamo la squadra. L’Aiba
ci deve riflettere». Cammarelle oggi
trova il britannico Anthony Joshua. «A
Pechino vinse con un cinese. Non si farà condizionare. Lui». Il Damiani di Stevenson fa a cazzotti coi
suoi ragazzi, chi vince? «Roberto è un brutto cliente. Ha un sacco di colpi.
Rapidi. Ripetuti. Non so come finirebbe. Clemente lo butto giù». Ma lui ha la cazzimma. «Vero, ma io
sono un paraculo romagnolo».
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