Per il bene dell'Italia, Pierluigi Bersani si
dovrebbe dimettere. Non solo dalla segreteria del Partito democratico,
questione tutta interna al Pd (e peraltro decisione già annunciata da Bersani,
si tratta solo di capire i tempi), ma dal suo ruolo di candidato premier
"obbligato". Ruolo tragicomico e assurdo, visto che nella storia
Pierluigi ci è entrato come il vincitore più perdente di sempre. Per usare le
sue meste parole, "siamo arrivati primi ma non abbiamo vinto". Un
paradosso che nemmeno il suo predecessore Romano Prodi aveva potuto usare nel
2006, quando almeno lui poteva vantarsi di essere arrivato secondo ma aver
vinto grazie alla legge elettorale. Oggi è l'esatto opposto. Bersani è il
leader più debole dell'arco parlamentare italiano, Monti escluso. Ha un partito
spaccato come una mela. Un avversario, Beppe Grillo, che lui
vorrebbe alleato e che invece lo sta prendendo a pesci in faccia. Un
interlocutore, Silvio Berlusconi, che non sa se parlare con
lui o con D'Alema. Infine, all'estero si presenterebbe ai vertici
internazionali non solo senza credibilità, ma pure senza forza rappresentativa.
Errori strategici gravissimi - Secondo molti, Bersani avrebbe già dovuto fare un passo indietro lo scorso autunno. Di fronte al rampante Matteo Renzi, il segretario avrebbe potuto rinunciare alla propria candidatura a Palazzo Chigi e aprire la porta al rottamatore che piaceva tanto ai delusi di centrodestra e pure a qualche incerto poi virato sul Movimento 5 Stelle. Invece ha tenuto duro, ha puntato sulla sinistra, vinto la partita delle primarie e perso, malamente, quella con gli italiani che di sinistra non sono ma avrebbero votato per un Pd moderato. Il guaio è che, sicuro di diventare premier, aveva già preparato le poltrone per chi negli anni l'ha sostenuto a corrente alternata, come Walter Veltroni e Massimo D'Alema. E che ora, senza voti in Parlamento e con la prospettiva di un'alleanza con Grillo, sono già pronti a scaricarlo di nuovo. Bivio Grillo - La strategia dei volponi Veltroni e D'Alema non è né casuale né ideologica, ma diremmo situazionista. Entrambi hanno aspramente criticato le offerte di Bersani ai 5 Stelle, perché sanno che l'unico modo di prendere quelle poltrone a suo tempo
Errori strategici gravissimi - Secondo molti, Bersani avrebbe già dovuto fare un passo indietro lo scorso autunno. Di fronte al rampante Matteo Renzi, il segretario avrebbe potuto rinunciare alla propria candidatura a Palazzo Chigi e aprire la porta al rottamatore che piaceva tanto ai delusi di centrodestra e pure a qualche incerto poi virato sul Movimento 5 Stelle. Invece ha tenuto duro, ha puntato sulla sinistra, vinto la partita delle primarie e perso, malamente, quella con gli italiani che di sinistra non sono ma avrebbero votato per un Pd moderato. Il guaio è che, sicuro di diventare premier, aveva già preparato le poltrone per chi negli anni l'ha sostenuto a corrente alternata, come Walter Veltroni e Massimo D'Alema. E che ora, senza voti in Parlamento e con la prospettiva di un'alleanza con Grillo, sono già pronti a scaricarlo di nuovo. Bivio Grillo - La strategia dei volponi Veltroni e D'Alema non è né casuale né ideologica, ma diremmo situazionista. Entrambi hanno aspramente criticato le offerte di Bersani ai 5 Stelle, perché sanno che l'unico modo di prendere quelle poltrone a suo tempo
promesse è, altro paradosso, trovare un'intesa con
il nemico di sempre, Berlusconi. Sono contro Grillo soprattutto perché vogliono
il governissimo, un'alleanza pro tempore con Pdl e montiani in cui strappare
una posizione di spicco in ragione dello "spirito di responsabilità".
Gogna all'estero - Quello "spirito di
responsabilità" che doveva consigliare a Bersani di non aprire la porta a
Grillo, che propone (da tempo) idee come il referendum per uscire dall'euro e,
più fresche, come l'abolizione delle pensioni e degli stipendi dei dipendenti
pubblici in cambio del reddito di cittadinanza. Misure forti, al limite della
follia per molti e tra questi sicuramente i vertici dell'Unione europea.
Quei vertici cui dovrebbe presentarsi l'eventuale premier Bersani, per
rassicurare sulla tenuta del "sistema-Italia". E poi a sinistra si
lamentano pure se lo spread sale alle stelle...
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