Le dimissioni del ministro degli Esteri Giulio
Terzi sulla vicenda dei marò è l’ultimo di una lunga serie di gravi incidenti
che hanno accompagnato l’inesorabile declino del governo tecnico. Al di là del
merito del caso che sta lacerando i rapporti tra l’Italia e l’India,
l’abbandono della nave a scoppio ritardato del responsabile della nostra
politica estera, e il rimprovero dell’ammiraglio Di Paola è uno degli episodi
più tristi capitati di recente alle nostre aule parlamentari. La caduta
verticale della credibilità dell’esecutivo dei tecnici è uno dei sintomi più
evidenti dell’impatto senza precedenti della recessione che ha travolto
l’economia italiana nel 2012, la seconda contrazione monstre a poco distanza
dal tonfo successivo al crack di Wall Street. Un simile sisma sociale avrebbe
prodotto sconquassi devastanti in ogni caso, ma i tecnici si sono dimostrati
incapaci di gestirlo ancora più dei politici. Basti pensare al modo in cui
Berlusconi si è risollevato dopo il fallimento del suo governo. Lo scoppio
della bolla tecnica ha trasformato Mario Monti nel piccolo leader di un partito
di centro, una figura simile a Casini mentre avrebbe potuto diventare un nuovo
Ciampi. La sua traiettoria, così come quella dei suoi colleghi, poveri di
consenso e inadatti a gestire il profondo turbamento della società italiana, è
anche un monito per il futuro prossimo venturo. I numeri per formare un governo
politico non ci sono, vista l’ostilità reciproca dei tre maggiori partiti italiani,
Pd, M5S e Pdl. Aggrapparsi ad un’altra scappatoia tecnica sarebbe però un
ulteriore aggravamento del problema, invece che la risoluzione di cui avrebbe
bisogno un paese in crisi così profonda.
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