«Smacchieremo
il giaguaro e la macchia più grossa la tireremo via in Lombardia», ha
giurato il 15 febbraio Bersani da Mantova. Alla fine, però, il giaguaro Berlusconi
s'è mangiato Bersani. Povero. Ha fatto quasi la fine di Achille
Occhetto nel '94. All'epoca la sua «gioiosa macchina da guerra»
doveva far sfracelli. Invece s'è ingolfata, a dispetto di tutte le più saccenti
previsioni. Su tutti Barbapapà Eugenio
Scalfari che sbeffeggiava il Cavaliere su Repubblica: «È sceso in
campo il ragazzo Coccodè». Così, Berlusconi può aggiungere l'attuale capo del
Pd ai tanti leader e leaderini piallati in vent'anni di politica. Una folta
schiera di nemici e finti amici, che hanno scommesso anzitempo sulla sua fine.
Di Occhetto s'è detto. Ma c'erano anche Mino
Martinazzoli e Mario
Segni, che in quella partita giocarono con il Patto per l'Italia.
Più che una sconfitta una débâcle. Berlusconi cadde poco dopo per il tradimento
di Bossi. Il ribaltone, regista Oscar
Luigi Scalfaro, lanciò Lamberto
Dini, ex ministro forzista e anche lui scommettitore della fine
anticipata del Cav. Presentato alle elezioni del '96 con una lista che portava
il suo nome, venne punito dagli italiani: 4,3%. Alle elezioni del 1996 vinse
Prodi ma durò soltanto due anni perché Bertinotti gli ritirò la fiducia. Poi
venne Massimo D'Alema,
al governo per intrighi di palazzo, anche lui convinto del tramonto di
Berlusconi.
Nel 2001 la riscossa della Casa delle libertà. Tutti insieme: Fi, An, Ccd-Cdu. Dall'altra parte, Francesco Rutelli col suo Ulivo. Piacione, l'ex sindaco di Roma suonava la fanfara dell'antiberlusconismo: «Gli italiani stanno per svegliarsi dalla sbornia berlusconiana». Dal canto suo, Berlusconi non riusciva neppure a considerarlo un avversario all'altezza, tanto da non concedergli neppure un duello tv: «Non riesco a prenderlo sul serio», disse. Celebre l'imitazione che fece Guzzanti, con un Rutelli implorante: «Aooooh, a Berluscò... Io sto a lavorà per te... Recordate delli amiciii, Berluscò...». Una formica schiacciata dal bulldozer di centrodestra. Sul carro di Berlusconi, però, anche personaggi allergici all'ombra del Cavaliere. Uno di questi è Marco Follini, capetto dell'Udc mentre Casini pisola sulla poltrona più alta di Montecitorio. Toccò a lui azionare la tiritera che Berlusconi era al tramonto. Cominciò a dire che così
Nel 2001 la riscossa della Casa delle libertà. Tutti insieme: Fi, An, Ccd-Cdu. Dall'altra parte, Francesco Rutelli col suo Ulivo. Piacione, l'ex sindaco di Roma suonava la fanfara dell'antiberlusconismo: «Gli italiani stanno per svegliarsi dalla sbornia berlusconiana». Dal canto suo, Berlusconi non riusciva neppure a considerarlo un avversario all'altezza, tanto da non concedergli neppure un duello tv: «Non riesco a prenderlo sul serio», disse. Celebre l'imitazione che fece Guzzanti, con un Rutelli implorante: «Aooooh, a Berluscò... Io sto a lavorà per te... Recordate delli amiciii, Berluscò...». Una formica schiacciata dal bulldozer di centrodestra. Sul carro di Berlusconi, però, anche personaggi allergici all'ombra del Cavaliere. Uno di questi è Marco Follini, capetto dell'Udc mentre Casini pisola sulla poltrona più alta di Montecitorio. Toccò a lui azionare la tiritera che Berlusconi era al tramonto. Cominciò a dire che così
non va, che serve un rinnovamento dell'azione di
governo, che occorre una nuova piattaforma programmatica.
Con queste premesse si corse al voto del 2006 che avrebbe dovuto essere il trionfo dell'Unione prodiana. Invece è famosa l'imbarazzante scena di piazza Santi Apostoli semideserta, pochi minuti prima delle 3 del mattino, con il Professore che, la bocca impastata, gridava pigolando: «Abbiamo vintooo...». Per soli 24mila voti. Anche lui avrebbe dovuto smacchiare definitivamente il giaguaro e invece no. Prodi cercò di stare aggrappato a Palazzo Chigi formando il governo più numeroso nella storia della Repubblica (102 tra ministri, viceministri e sottosegretari) e pietendo i voti dei senatori a vita. Affondò definitivamente nel gennaio 2008, dopo l'uscita del Guardasigilli Clemente Mastella e dell'Udeur dalla maggioranza.
Con queste premesse si corse al voto del 2006 che avrebbe dovuto essere il trionfo dell'Unione prodiana. Invece è famosa l'imbarazzante scena di piazza Santi Apostoli semideserta, pochi minuti prima delle 3 del mattino, con il Professore che, la bocca impastata, gridava pigolando: «Abbiamo vintooo...». Per soli 24mila voti. Anche lui avrebbe dovuto smacchiare definitivamente il giaguaro e invece no. Prodi cercò di stare aggrappato a Palazzo Chigi formando il governo più numeroso nella storia della Repubblica (102 tra ministri, viceministri e sottosegretari) e pietendo i voti dei senatori a vita. Affondò definitivamente nel gennaio 2008, dopo l'uscita del Guardasigilli Clemente Mastella e dell'Udeur dalla maggioranza.
Intanto, nel 2007, Pier Ferdinando Casini s'era
ormai convinto che Berlusconi fosse bollito. Portò la sua Udc fuori della Casa
delle libertà, presentandosi come il nuovo: «La Cdl non ha più senso. Il suo
ritualismo fa parte del passato e non di una prospettiva politica». Per Pier,
il futuro era nell'accordo tra Udc e Rosa Bianca di Pezzotta. Pure Gianfranco Fini, in cuor suo,
pensava che Berlusconi fosse finito. Quando il Cavaliere salì sul predellino in
piazza San Babila e annunciò la nascita del Popolo della libertà, Fini rosicò e
sputò: «Siamo alle comiche finali». Peccato che poi fece l'ennesima giravolta e
corse a saltare sul carro del vincitore. Che non vinse ma stravinse. Elezioni
2008: un altro leader della sinistra asfaltato. Walter Veltroni, che rimasticava l'obamiano «Yes,
we can», evitò di picchiare duro su Berlusconi ma lo ritenne già pensionato: «È
il vecchio, la replica dello stesso film». Risultato: 37,38% Pdl; 33,18% Pd.
Una batosta colossale.
Poi venne il ditino alzato di
Fini del «Che fai mi cacci?» e le spocchiose ambizioni di un delfino, poi annegato
nella poltiglia del suo Fli. Scomparso dal Parlamento come la pattuglia di
manettari che per anni hanno cercato di battere il Cavaliere col suon delle
manette. Antonio Di Pietro
ci ha provato prima dalla Procura di Milano poi, dal 1996, da Montecitorio. Antonio Ingroia avrebbe dovuto
prenderne il testimone. Risultato: gli italiani hanno arrestato entrambi. A
casa. Berlusconi eroe? Forse anche. Ma soprattutto tutti i suoi avversari,
incapaci di togliersi dal naso gli occhiali dell'antiberlusconismo, sono andati
a sbattere contro un gran bel pezzo di Paese.
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