Una montagna di carta che
solo a trasferirla dagli 83 Centri di assistenza fiscale riconosciuti all’Inps
si trasforma magicamente in quattrini ballanti e sonanti. Per la precisione ben
161 milioni di euro che l’Istituto di previdenza pubblico riconosce (dati 2012)
ai Caf per la compilazione di milioni di pratiche. Il meccanismo è semplice. Il
cittadino deve compilare una dichiarazione o certificare un certo reddito (per
accedere a sconti e prestazioni sociali). Per farlo ha diverse strade: o
rivolgersi all’Inps, o andare in comune (o circoscrizione), oppure bussare in
uno dei tanti Caf. Un business milionario - negli ultimi anni lievitato
considerevolmente in barba alla crisi - che gira intorno alla possibilità
di ottenere rimborsi fiscali (per dipendenti e pensionati), detrazioni d’imposta
o anche sconti ed esenzioni da servizi pubblici. Tra dichiarazioni dei redditi,
richieste di esonero dal pagamento della mensa dell’asilo o contributi sociali
di varia natura, gli italiani compilano milioni di domande e moduli.
Tutte autocertificazioni che i Caf (onesti) aiutano a compilare per orientarsi
in un dedalo normativo che cambia più spesso della biancheria intima. Da anni
tutti i sindacati (ma anche alcune confederazioni del lavoro autonomo) hanno
intercettato questo filone redditizio e aperto sportelli di consulenza fiscale,
tributaria e normativa. In sostanza offrono - in orari possibili e con file
meno mostruose - gli stessi servizi dell’Inps o dei Comuni. E per questo
servizio lo Stato, o meglio l’Inps, paga un gettone (dai 10 ai 16 euro a
pratica) come contributo. In teoria si potrebbe fare tutto ricorrendo ai
dipendenti comunali o a quelli dell’Inps, in pratica per convenienza gli
italiani prendono appuntamento in un Caf e sbrigano le pratiche necessarie. E
fin qui si rientra nella privatizzazione di un servizio pubblico, discutibile,
ma tutto sommato efficiente.
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