venerdì 9 aprile 2010

NAPOLITANO FIRMA IL LEGITTIMO IMPEDIMENTO. STOP AI PROCESSI A BERLUSCONI

CADE UN ALTRO OSTACOLO SULLA STRADA DEL GOVERNO. E ADESSO VIA ALLE RIFORME

Il fatto che il Presidente della Repubblica promulghi una legge dovrebbe essere una non-notizia. Ma nel caso del legittimo impedimento, evidentemente, non è così. Troppe e contrapposte erano le attese che un rinvio alle Camere complicasse la strada verso la “normalizzazione” di alcuni anomali rapporti tra politica e giustizia, giocati sul filo di una conflittualità continua ed esasperata. Così per fortuna non è stato, anche se, per ora, non c’è da celebrare alcunché.  La legge sul legittimo impedimento non ha presentato, agli occhi del Quirinale, vizi evidenti che imponessero cambiamenti: questo èl’unico dato da sottolineare nell’immediatezza. Tuttavia, questa legge è solo un primo tassello di un’opera davvero più ampia, cui le forze di maggioranza, sperabilmente col concorso della parte più responsabile dell’opposizione, dovranno dedicarsi nei prossimi mesi. Infatti, la legge appena promulgata è transitoria in attesa che venga approvata, con legge costituzionale, una disciplina organica che regoli le immunità di coloro che occupano cariche istituzionali di vertice.


La firma del Quirinale è in definitiva un’apertura di credito nelle capacità del legislatore: la promulgazione della legge sul legittimo impedimento fornisce uno scudo giudiziario al Premier, ma chiede in cambio di regolare i rapporti tra politica e giustizia. La congiuntura è favorevole. Dopo le bufere degli ultimi mesi, dopo gli attacchi scandalistici, dopo l’esito positivo delle elezioni regionali, la maggioranza, e la sua leadership, hanno in mano il pallino del gioco. Si tratta davvero di non sprecare l’occasione. All’orizzonte vi sono scelte complesse, sulle quali confrontarsi con l’opposizione fino a che sarà possibile e ragionevole.
Altrimenti, la maggioranza potrà e dovrà fare da sola, perché ha i numeri in Parlamento per procedere legittimamente. A due sole condizioni: che le scelte riformatrici siano di alto profilo, in termini tecnici e istituzionali, e che ci sia la volontà politica di spiegarle bene al Paese altrimenti, il referendum costituzionale - pressoché inevitabile se le riforme non saranno approvate con la maggioranza dei due terzi - rischierà di risolversi come quello del 2006. Cioè con una sconfitta, che sarebbe la pietra tombale definitiva su ogni speranza di cambiamento.
Siamo insomma in presenza di una di quelle opportunità che raramente il fato mette a disposizione delle leadership politiche. Speriamo davvero che la buona volontà di tutti ci assista.

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