martedì 28 febbraio 2012

L’INTERVENTO DI ALBERTO ANCARANI AL CONGRESSO PDL


Cari amici,   finalmente ci siamo! Dopo un lungo, tortuoso cammino siamo infine giunti all’atto di reale fondazione del Popolo della Libertà nella nostra provincia. Un evento tanto atteso quanto necessario per il consolidamento e il rilancio non solo del nostro partito, ma dell’intero fronte moderato sul nostro territorio che non può permettersi di non  dotarsi di una rappresentanza seria, motivata e preparata che ci consenta di divenire forza di governo anche in questa terra difficile. Non lo nascondo, provo una certa emozione.  Quando 11 anni fa ricevetti la tessera di socio sostenitore di Forza Italia per aver svolto il compito di rappresentante di lista alle elezioni politiche – un ruolo che molti di voi svolgono tuttora regolarmente – mai avrei immaginato che oggi mi sarei trovato qui a rivolgervi questo discorso… E’ per questo che prima di entrare nel merito della mozione e della candidatura mia e di Paolo Savelli, desidero innanzitutto ringraziare i nostri ospiti a partire dall’On. Beatrice Lorenzin, che presiede questo congresso e che oltre ad essere un’amica personale si è dimostrata nel tempo un’amica di Ravenna.  Mi piace cogliere nella sua presenza proprio nella giornata in cui al massimo vertice provinciale del nostro partito si candidano un ventinovenne e un trentaquattrenne, un segno di buon auspicio non solo per noi, ma per l’intero movimento. Ringrazio e saluto i rappresentanti istituzionali che sono intervenuti nonchè i rappresentanti degli altri partiti che raccogliendo il nostro invito sono qui presenti e ci rivolgeranno un indirizzo di saluto.  Su tutti però è giusto ringraziare tutti voi cari amici iscritti al PDL. La vostra presenza così numerosa ha per me un significato inequivocabile: la volontà di fondare il PDL anche nella nostra provincia fornendogli finalmente una classe dirigente eletta democraticamente ed uno slancio di rinnovato entusiasmo.  Ne abbiamo bisogno.  Sono consapevole che al già difficile compito di cui siamo gravati in questo territorio dove da sempre siamo all’opposizione, la fine del governo Berlusconi ha impresso scoramento in alcuni. E allora, cari amici, quello che dobbiamo fare oggi è ripartire per trasformare le difficoltà in occasioni, gli imprevisti in opportunità!



E’ questo il motivo per cui abbiamo perseguito, nonostante gli ostacoli non mancassero, l’obiettivo di un congresso unitario. Abbiamo ritenuto, da una parte e dall’altra, di far prevalere le idee sui rapporti personali, il bene comune sulle rendite di posizione. Tutti hanno rinunciato a qualcosa ma nessuno ha perso nulla, perché tutti hanno avuto in cambio il rafforzamento del partito.

Candidarsi a guidare il nuovo corso impone quindi senso di responsabilità e di apertura al confronto.

Una strada che intraprendiamo nella consapevolezza che non siamo all’anno zero e che chi ha lavorato fino ad oggi, anche in condizioni difficili, sia dal punto di vista ambientale che da quello strutturale interno, merita il riconoscimento di avere percorso una lunga traversata nel deserto.
Quella traversata in questa nostra provincia è ancora in corso e noi oggi raccogliamo il testimone con la lucida follia di chi vuole portarla finalmente a termine.

Inutile dunque negare che l’assetto che ci troviamo a imprimere al nostro movimento in questo congresso non sarebbe stato possibile senza il fondamentale contributo di chi, facendo una scelta di grande lungimiranza e dimostrando una fiducia non solo a parole nelle nuove generazioni ha favorito queste candidature e propiziato una mozione unitaria. Mi riferisco ovviamente al coordinatore provinciale uscente e al gruppo dirigente che fino ad oggi gli è stato vicino.

Ribadisco pubblicamente a Gianguido Bazzoni che sono orgoglioso di avere attivamente collaborato con lui e di aver contribuito con entusiasmo a sostenere la sua elezione a consigliere regionale.

E’ per questo, ma non solo per questo, che desidero confermare che a lui e al suo lavoro, il nuovo coordinamento provinciale continuerà ad attingere da un lato e ad essere attivo supporter dall’altro, affinchè la più elevata carica ottenuta dagli elettori nel nostro territorio possa rappresentare, con pieno mandato, l’intero partito.



Intendo inoltre rivolgere un plauso non di prammatica a Roberto Petri, vice coordinatore provinciale vicario uscente e componente della direzione nazionale del partito non solo per non aver impedito il passaggio che stiamo oggi celebrando ma anche per aver contribuito, dopo le turbolenze dovute al passaggio a FLI di alcuni elementi che avrebbero potuto creare forte disagio alla consistenza del PDL sul territorio, a tenere la barra dritta in un momento di difficoltà locale e nazionale.

C’è poi un’altra persona che devo ringraziare e che benchè venga tenuta informata sui nostri lavori, fa sentire la sua assenza in questa sala. E’ Giovanna Benelli, cui personalmente devo moltissimo e a cui chiedo di tributare un applauso per una pronta guarigione.

Detto questo intendo essere chiaro e so di parlare anche a nome di Paolo Savelli: noi non solo non siamo i delfini di qualcuno che siede al di qua di quel tavolo, ma vogliamo essere piuttosto i portabandiera di tutti coloro che oggi sono seduti dall’altra parte!

Da domani è inevitabile infatti che i meriti – speriamo non troppo pochi! - e i demeriti - speriamo non troppi! - saranno i nostri. Se fossimo disposti ad essere semplicemente gli esecutori di volontà altrui faremmo un danno prima di tutto a noi stessi.

La mozione che io e Paolo Savelli vi presentiamo è ovviamente divisa in due parti. Nella prima vi è una lunga e articolata analisi della situazione nazionale sia del nostro partito sia della fase politica generale. Nella seconda parte c’è invece il programma per il partito nel nostro territorio.

Sono consapevole, cari amici, che molti di voi vogliono conoscere programmi e metodi per battere le sinistre qui, a Ravenna e nella sua provincia. Ma non possiamo prescindere, non potete prescindere, dal sapere quale idea e quale analisi facciamo noi della situazione nazionale.

A seguito del venir meno della maggioranza in entrambi i rami del parlamento a causa della sconsideratezza di Gianfranco Fini – a proposito sono orgoglioso di aver chiesto a Gianguido Bazzoni e Roberto Petri di non invitare nessun finiano a questo congresso, e di essere stato esaudito - le elezioni sarebbero state sicuramente la soluzione principe per uscire da questa crisi.

Una volta terminata l’esperienza di governo, il Presidente Berlusconi ha dimostrato di essere consapevole del fatto che difficilmente una maggioranza parlamentare chiara sarebbe potuta uscire dalle urne non tanto per effetto della legge elettorale, ma dell’assetto costituzionale.

Se infatti nel 2006 un premio di maggioranza, cardine del bipolarismo, abbiamo potuto inserirlo, questo riguarda solo la Camera dei Deputati, ma non il Senato della Repubblica per il quale la Costituzione prevede un sistema elettorale a base regionale. Senza cambiare un assetto costituzionale vecchio di sessant’anni, e ormai anacronistico, è impensabile arrivare a riforme serie per questo Paese. Siamo l’unico stato al mondo che, con due camere identiche fra loro, non riesce, nell’arco di una legislatura, ad approvare un disegno di legge. Un bicameralismo perfetto ormai chiaramente inadeguato alle esigenze del Paese.

L’unico pregio della situazione attuale, cioè di un governo tecnico a vasta base parlamentare, potrebbe proprio essere quello di porre rimedio a questa situazione. In questi giorni si è aperto qualche spiraglio. Ci auguriamo che soprattutto il PD che a parole tiene quanto noi alla conservazione del bipolarismo sia sufficientemente responsabile e maturo da saper cogliere assieme a noi questa opportunità. L’obiettivo deve rimanere dunque quello di mantenere in capo agli elettori la possibilità di scegliere il Presidente del Consiglio.

Come abbiamo detto all’atto dell’approvazione della manovra di dicembre, questo non è il nostro governo, ma è il governo dell’Italia. E un grande partito come il Pdl è inevitabilmente tenuto a comportamenti responsabili nel nome del superiore interesse nazionale che in questa fase, piaccia o no, non può che realizzarsi attraverso un’ampia delega al Governo Monti.

Un altro tema importante è quello del futuro del nostro partito.

Inutile nascondersi dietro un dito: il PDL nasce come partito carismatico e sta gradualmente tentando di uscire dallo schema al quale tutti eravamo abituati. Dobbiamo insomma imparare a camminare sulle nostre gambe senza considerarci orfani del Presidente Berlusconi qualora egli gradualmente intenda passare la mano. Non significa né rinnegare il berlusconismo, né sostenere che il Presidente Berlusconi voglia lasciarci soli nella quotidiana battaglia contro le sinistre.

Ma allora che risposta dobbiamo darci per il futuro del nostro partito? Credo che la migliore sia quella che si è dato, nel corso del suo intervento al Consiglio nazionale del 2 luglio, proprio il Segretario Alfano.

“Se voi mi chiedete, che partito vorresti?, cioè che partito vorresti che oggi avesse il nuovo inizio?, io vi direi un partito che ci sia tra 17 anni o tra 20’anni, com’è capitato a noi.”



Cari amici io ritengo che affinché questo accada non si possa prescindere dai nostri valori di fondo:

Valori che, se permettete, vorrei rapidamente richiamare alla vostra attenzione così come li vedo io: Libertà, Laicità, Meritocrazia, Sussidiarietà, Identità.

Libertà perché il "primato" della persona sulla società e sullo Stato burocratico e paternalista deve essere uno dei pilastri dell'azione del nostro partito;

Laicità perchè nella casa del PDL convivono tradizioni politiche e culturali differenti e anche se molti di noi, io per primo, hanno una formazione cattolica, nel nostro partito non deve avere cittadinanza una visione confessionale della politica. Il grande obiettivo perseguito dal Segretario Alfano di trasformare il PDL nella sezione italiana del Partito Popolare Europeo va esattamente in questa direzione.

Meritocrazia, perché siamo convinti che cariche, ruoli e posti di responsabilità debbano essere assegnati secondo criteri di merito, e non di appartenenza lobbystica, familiare o clientelare.

Sussidiarietà. Perché c'è una forte e sensibile creatività sociale che chiede costantemente di essere accompagnata e la politica spesso non è in grado di rispondere alle necessità anche basilari provenienti dal tessuto sociale ed economico.

Identità. Perché dobbiamo essere fieri di averne una. Pur nel rispetto delle diversità è fondamentale essere consapevoli e orgogliosi di ciò che abbiamo alle spalle e di ciò che siamo oggi. La nostra civiltà purtroppo appare troppo subalterna a quella spesso culturalmente e socialmente arretrata dei nostri simili di altre etnie. Dobbiamo essere orgogliosi che le nostre radici culturali provengano dal Cristianesimo.

Il tema dell’immigrazione è inevitabilmente connesso a quello dell’identità. Non possiamo pertanto non stigmatizzare la nostra assoluta contrarietà a una proposta che troviamo inaccettabile e di cui – uscendo ampiamente dai contorni del proprio ruolo, si sta facendo portabandiera persino il Capo dello Stato - e cioè quella di sostituire lo ius soli con lo ius sanguinis ovvero di rendere automaticamente cittadini italiani i figli di immigrati che nascano in Italia.

A questa logica, tipica della sinistra che spera solo di costruirsi un elettorato per il futuro, all’insegna del buonismo e di scelte aperturiste che già troppi danni hanno fatto al nostro paese, noi diciamo chiaramente e decisamente no.



Torniamo al partito: saremmo degli illusi se pensassimo di essere già al punto di arrivo.

Tanti sono gli strumenti che devono aiutarci a raggiungere l’obiettivo. Il primo è un maggior coinvolgimento della base. A livello territoriale l’intenzione espressa nella nostra mozione – una promessa personale che io e Paolo Savelli vogliamo fortemente mantenere – è un rapporto più frequente con gli iscritti su tutti i territori. Gambe in spalla, faremo qualche chilometro venendo periodicamente a trovarvi, a prescindere dalle campagne elettorali imminenti o in corso.

Da qui, passa anche la necessità di celebrare il prima possibile anche i congressi comunali, in modo da dare ad ogni territorio degli interlocutori ufficiali.

Ma non è tutto.

Sappiamo bene che in molti comuni gli ostacoli che ci separano dal divenire maggioranza non sono pochi, ma siamo convinti che uno sia lo scarso coinvolgimento della base nella scelta dei candidati. E’ questo il motivo per cui, raccogliamo con grande entusiasmo la sfida del segretario Alfano per la svolgimento delle primarie in tutti i comuni che superano i 15000 abitanti.

Si tratta di uno strumento che non può essere lasciato solo al PD perché celebrare le primarie significa prima di tutto avere più chance quando si arriva alle secondarie!

Dobbiamo insomma uscire dalla logica della coltivazione di piccoli orticelli ed entrare, consentitemi la metafora, in quella dell’aratura dei grandi latifondi.

Il lavoro che sta facendo il governo Monti per combattere la crisi è evidentemente fermo a metà del guado. Il riequilibrio dei conti, non ha ancora trovato un adeguato bilanciamento con le prospettive di crescita necessarie per riagguantare la ripresa economica. La sensazione dei cittadini in questo momento è più quella di essere tartassati che quella di essere accompagnati verso l’uscita dalla crisi.

A questo, si stanno per aggiungere le stangate dei comuni. L’IMU che era stata abolita dal governo Berlusconi viene oggi reintrodotta consentendo alle amministrazioni comunali di modularla sulla base delle necessità di bilancio. Lo vogliamo dire chiaramente: siamo contrari a qualunque tentativo di mettere ulteriormente le mani nelle tasche dei cittadini ed è per questo che stiamo proponendo in tutti i comuni mozioni e ordini del giorno che chiedono l’applicazione al minimo dell’IMU.

Riteniamo infatti che lo slogan “i servizi non si toccano” con il quale le amministrazioni di sinistra che governano questo territorio cercano di indorare la pillola ai cittadini per giustificare l’aumento delle tasse ed in particolare di tutte quelle che assomigliano ad una tassa patrimoniale, non sia spesso altro che un espediente per non apportare i tagli laddove sono necessari, per continuare a finanziare carrozzoni inutili coi nostri soldi, per continuare spesso a far svolgere al pubblico il mestiere di imprenditore in settori dove il pubblico fa concorrenza al privato.

E’ su questi argomenti che si misura, nonostante la parentesi del governo tecnico, la vera differenza fra noi e loro.



Cari amici, tenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica su questi temi, checchè ne dica qualcuno, non significa né fare della macelleria sociale, né abdicare a un liberismo economico di maniera. Significa piuttosto avere una visione diversa e moderna del governo della cosa pubblica.

La nostra provincia ha bisogno di nuovi volti, nuovi linguaggi, nuovi metodi. Tuttavia non si può pensare che gli elettori lascino la strada vecchia per la nuova senza un progetto concreto, preciso e di ampio respiro che vada oltre i tradizionali “no” che vengono normalmente dall’opposizione. I cittadini, in parole povere, ci chiedono di spiegar loro la nostra visione diversa.

Spetta dunque non solo ai dirigenti che oggi verranno eletti, ma a ciascuno di noi qui presenti, convincerli che un’altra Ravenna, un’altra Cervia, un’altra Faenza, un’altra Lugo etc etc sono possibili e che, per quanto le statistiche le disegnino tuttora come città ben vivibili, le amministrazioni che si sono succedute in questi anni non hanno fatto altro che governare senza la benché minima lungimiranza, guardandosi bene dal prendere decisioni coraggiose che permettessero quel salto di qualità necessario a uscire dalla schiera delle “cittadine di provincia”  (infrastrutture materiali e immateriali, sviluppo del turismo, diminuzione della burocrazia solo per citare alcune delle esigenze a cui non si è data risposta), oppure risolvendo le questioni scottanti sempre con compromessi al ribasso e buonismo ipocrita per evitare di scontentare qualcuno della propria maggioranza e magari di perdere poi un punto percentuale alle successive elezioni.

Il PDL è e rimane il primo partito d'Italia: anche qui possiamo diventare maggioranza! Se dimostreremo che ci siamo, che ci opponiamo con gli argomenti e che abbiamo la credibilità per sostituirli non appena i cittadini ci daranno la forza per amministrare la nostra terra, gli elettori non potranno non darci fiducia!



Cari amici, concludendo, questi sono gli spunti che ho ritenuto di porre alla vostra attenzione.

So che quello che ci aspetta è un compito difficile, ambizioso, necessario.

Un compito che ci deve trovare tutti uniti e decisi per realizzare un sogno.

Quel sogno per il quale se è caduta Bologna, se è caduta Prato, se è caduta Mantova, possono cadere anche le città della nostra provincia.

Lo dobbiamo prima di tutto al nostro futuro, e lo dobbiamo anche a tutti coloro che hanno sempre combattuto nel corso degli anni prima il partito comunista poi tutti i partiti che cambiando nome non cambiavano stranamente i loro rappresentanti e spesso neppure le loro sedi, anche prima del 94.

Lo dobbiamo inoltre a tutti coloro che in questa terra difficile non temono di votare per noi, ma preferiscono che non si sappia.

Bè, noi lottiamo e continueremo a lottare anche per loro.

Viva l’Italia, Viva la provincia di Ravenna, Viva il Popolo della Libertà, Viva la Libertà!. Alberto Ancarani

Nessun commento:

Posta un commento