Cari amici, finalmente ci siamo! Dopo un lungo, tortuoso
cammino siamo infine giunti all’atto di reale fondazione del Popolo della
Libertà nella nostra provincia. Un evento tanto atteso quanto necessario per il
consolidamento e il rilancio non solo del nostro partito, ma dell’intero fronte
moderato sul nostro territorio che non può permettersi di non dotarsi di una rappresentanza seria, motivata
e preparata che ci consenta di divenire forza di governo anche in questa terra
difficile. Non lo nascondo, provo una certa emozione. Quando 11 anni fa ricevetti la tessera di
socio sostenitore di Forza Italia per aver svolto il compito di rappresentante
di lista alle elezioni politiche – un ruolo che molti di voi svolgono tuttora
regolarmente – mai avrei immaginato che oggi mi sarei trovato qui a rivolgervi
questo discorso… E’ per questo che prima di entrare nel merito della mozione e
della candidatura mia e di Paolo Savelli, desidero innanzitutto ringraziare i
nostri ospiti a partire dall’On. Beatrice Lorenzin, che presiede questo
congresso e che oltre ad essere un’amica personale si è dimostrata nel tempo
un’amica di Ravenna. Mi piace cogliere
nella sua presenza proprio nella giornata in cui al massimo vertice provinciale
del nostro partito si candidano un ventinovenne e un trentaquattrenne, un segno
di buon auspicio non solo per noi, ma per l’intero movimento. Ringrazio e
saluto i rappresentanti istituzionali che sono intervenuti nonchè i
rappresentanti degli altri partiti che raccogliendo il nostro invito sono qui
presenti e ci rivolgeranno un indirizzo di saluto. Su tutti però è giusto ringraziare tutti voi
cari amici iscritti al PDL. La vostra presenza così numerosa ha per me un
significato inequivocabile: la volontà di fondare il PDL anche nella nostra
provincia fornendogli finalmente una classe dirigente eletta democraticamente
ed uno slancio di rinnovato entusiasmo. Ne
abbiamo bisogno. Sono consapevole che al
già difficile compito di cui siamo gravati in questo territorio dove da sempre
siamo all’opposizione, la fine del governo Berlusconi ha impresso scoramento in
alcuni. E allora, cari amici, quello che
dobbiamo fare oggi è ripartire per trasformare le difficoltà in occasioni, gli
imprevisti in opportunità!
E’ questo il motivo per
cui abbiamo perseguito, nonostante gli ostacoli non mancassero, l’obiettivo di
un congresso unitario. Abbiamo ritenuto, da una parte e dall’altra, di far
prevalere le idee sui rapporti personali, il bene comune sulle rendite di posizione.
Tutti hanno rinunciato a qualcosa ma nessuno ha perso nulla, perché tutti hanno
avuto in cambio il rafforzamento del partito.
Candidarsi a guidare il
nuovo corso impone quindi senso di responsabilità e di apertura al confronto.
Una strada che intraprendiamo
nella consapevolezza che non siamo all’anno zero e che chi ha lavorato fino ad
oggi, anche in condizioni difficili, sia dal punto di vista ambientale che da
quello strutturale interno, merita il riconoscimento di avere percorso una
lunga traversata nel deserto.
Quella traversata in questa nostra provincia è ancora in corso e noi oggi raccogliamo il testimone con la lucida follia di chi vuole portarla finalmente a termine.
Quella traversata in questa nostra provincia è ancora in corso e noi oggi raccogliamo il testimone con la lucida follia di chi vuole portarla finalmente a termine.
Inutile dunque negare che
l’assetto che ci troviamo a imprimere al nostro movimento in questo congresso
non sarebbe stato possibile senza il fondamentale contributo di chi, facendo
una scelta di grande lungimiranza e dimostrando una fiducia non solo a parole nelle nuove
generazioni ha favorito queste candidature e propiziato una mozione unitaria.
Mi riferisco ovviamente al coordinatore provinciale uscente e al gruppo
dirigente che fino ad oggi gli è stato vicino.
Ribadisco pubblicamente a
Gianguido Bazzoni che sono orgoglioso di avere attivamente collaborato con lui
e di aver contribuito con entusiasmo a sostenere la sua elezione a consigliere
regionale.
E’ per questo, ma non solo per questo, che
desidero confermare che a lui e al suo lavoro, il nuovo coordinamento
provinciale continuerà ad attingere da un lato e ad essere attivo supporter
dall’altro, affinchè la più elevata carica ottenuta dagli elettori nel nostro
territorio possa rappresentare, con pieno mandato, l’intero partito.
Intendo inoltre rivolgere un plauso non di
prammatica a Roberto Petri, vice coordinatore provinciale vicario uscente e
componente della direzione nazionale del partito non solo per non aver impedito
il passaggio che stiamo oggi celebrando ma anche per aver contribuito, dopo le
turbolenze dovute al passaggio a FLI di alcuni elementi che avrebbero potuto
creare forte disagio alla consistenza del PDL sul territorio, a tenere la barra dritta in un momento
di difficoltà locale e nazionale.
C’è poi un’altra persona
che devo ringraziare e che benchè venga tenuta informata sui nostri lavori, fa
sentire la sua assenza in questa sala. E’ Giovanna Benelli, cui personalmente
devo moltissimo e a cui chiedo di tributare un applauso per una pronta
guarigione.
Detto questo intendo
essere chiaro e so di parlare anche a nome di Paolo Savelli: noi non solo non
siamo i delfini di qualcuno che siede al
di qua di quel tavolo, ma vogliamo essere piuttosto i portabandiera di tutti coloro che oggi sono seduti
dall’altra parte!
Da domani è inevitabile
infatti che i meriti – speriamo non troppo pochi! - e i demeriti - speriamo non
troppi! - saranno i nostri. Se fossimo disposti ad essere semplicemente gli
esecutori di volontà altrui faremmo un danno prima di tutto a noi stessi.
La mozione che io e Paolo
Savelli vi presentiamo è ovviamente divisa in due parti. Nella prima vi è una
lunga e articolata analisi della situazione nazionale sia del nostro partito
sia della fase politica generale. Nella seconda parte c’è invece il programma
per il partito nel nostro territorio.
Sono consapevole, cari
amici, che molti di voi vogliono conoscere programmi e metodi per battere le
sinistre qui, a Ravenna e nella sua provincia. Ma non possiamo prescindere, non
potete prescindere, dal sapere quale idea e quale analisi facciamo noi della
situazione nazionale.
A seguito del venir meno
della maggioranza in entrambi i rami del parlamento a causa della
sconsideratezza di Gianfranco Fini – a proposito sono orgoglioso di aver
chiesto a Gianguido Bazzoni e Roberto Petri di non invitare nessun finiano a
questo congresso, e di essere stato esaudito - le elezioni
sarebbero state sicuramente la soluzione principe per uscire da questa crisi.
Una volta terminata l’esperienza di governo, il Presidente
Berlusconi ha dimostrato di essere consapevole del fatto che difficilmente una
maggioranza parlamentare chiara sarebbe potuta uscire dalle urne non tanto per
effetto della legge elettorale, ma dell’assetto costituzionale.
Se infatti nel 2006 un premio di maggioranza, cardine del
bipolarismo, abbiamo potuto inserirlo, questo riguarda solo la Camera dei
Deputati, ma non il Senato della Repubblica per il quale la Costituzione
prevede un sistema elettorale a base regionale. Senza cambiare un assetto
costituzionale vecchio di sessant’anni, e ormai anacronistico, è impensabile
arrivare a riforme serie per questo Paese. Siamo l’unico stato al mondo che,
con due camere identiche fra loro, non riesce, nell’arco di una legislatura, ad
approvare un disegno di legge. Un bicameralismo perfetto ormai chiaramente
inadeguato alle esigenze del Paese.
L’unico pregio della
situazione attuale, cioè di un governo tecnico a vasta base parlamentare,
potrebbe proprio essere quello di porre rimedio a questa situazione. In questi
giorni si è aperto qualche spiraglio. Ci auguriamo che soprattutto il PD che a
parole tiene quanto noi alla conservazione del bipolarismo sia sufficientemente
responsabile e maturo da saper cogliere assieme a noi questa opportunità.
L’obiettivo deve rimanere dunque quello di mantenere in capo agli elettori la
possibilità di scegliere il Presidente del Consiglio.
Come abbiamo detto all’atto dell’approvazione
della manovra di dicembre, questo non è il nostro governo, ma è il governo
dell’Italia. E un grande partito come il Pdl è inevitabilmente tenuto a
comportamenti responsabili nel nome del superiore interesse nazionale che in
questa fase, piaccia o no, non può che realizzarsi attraverso un’ampia delega
al Governo Monti.
Un altro tema importante è
quello del futuro del nostro partito.
Inutile nascondersi dietro un dito: il PDL nasce
come partito carismatico e sta gradualmente tentando di uscire dallo schema al
quale tutti eravamo abituati. Dobbiamo insomma imparare a camminare sulle
nostre gambe senza considerarci orfani del Presidente Berlusconi qualora egli
gradualmente intenda passare la mano. Non significa né rinnegare il
berlusconismo, né sostenere che il Presidente Berlusconi voglia lasciarci soli
nella quotidiana battaglia contro le sinistre.
Ma allora che risposta dobbiamo darci per il
futuro del nostro partito? Credo che la migliore sia quella che si è dato, nel corso
del suo intervento al Consiglio nazionale del 2 luglio, proprio il Segretario
Alfano.
“Se voi mi chiedete, che partito vorresti?, cioè
che partito vorresti che oggi avesse il nuovo inizio?, io vi direi un partito
che ci sia tra 17 anni o tra 20’anni, com’è capitato a noi.”
Cari amici io ritengo che affinché questo accada
non si possa prescindere dai nostri valori di fondo:
Valori che, se permettete, vorrei rapidamente
richiamare alla vostra attenzione così come li vedo io: Libertà, Laicità,
Meritocrazia, Sussidiarietà, Identità.
Libertà perché il
"primato" della persona sulla società e sullo Stato burocratico e
paternalista deve essere uno dei pilastri dell'azione del nostro partito;
Laicità perchè nella casa del PDL convivono
tradizioni politiche e culturali differenti e anche se molti di noi, io per
primo, hanno una formazione cattolica, nel nostro partito non deve avere
cittadinanza una visione confessionale della politica. Il grande obiettivo
perseguito dal Segretario Alfano di trasformare il PDL nella sezione italiana
del Partito Popolare Europeo va esattamente in questa direzione.
Meritocrazia, perché siamo convinti che cariche,
ruoli e posti di responsabilità debbano essere assegnati secondo criteri di
merito, e non di appartenenza lobbystica, familiare o clientelare.
Sussidiarietà. Perché c'è
una forte e sensibile creatività sociale che chiede costantemente di essere
accompagnata e la politica spesso non è in grado di rispondere alle necessità
anche basilari provenienti dal tessuto sociale ed economico.
Identità. Perché dobbiamo essere fieri di averne
una. Pur nel rispetto delle diversità è fondamentale essere consapevoli e
orgogliosi di ciò che abbiamo alle spalle e di ciò che siamo oggi. La nostra
civiltà purtroppo appare troppo subalterna a quella spesso culturalmente e
socialmente arretrata dei nostri simili di altre etnie. Dobbiamo essere
orgogliosi che le nostre radici culturali provengano dal Cristianesimo.
Il tema dell’immigrazione è inevitabilmente
connesso a quello dell’identità. Non possiamo pertanto non stigmatizzare la
nostra assoluta contrarietà a una proposta che troviamo inaccettabile e di cui
– uscendo ampiamente dai contorni del proprio ruolo, si sta facendo
portabandiera persino il Capo dello Stato - e cioè quella di sostituire lo ius
soli con lo ius sanguinis ovvero di rendere automaticamente cittadini italiani
i figli di immigrati che nascano in Italia.
A questa
logica, tipica della sinistra che spera solo di costruirsi un elettorato per il
futuro, all’insegna del buonismo e di scelte aperturiste che già troppi danni
hanno fatto al nostro paese, noi diciamo chiaramente e decisamente no.
Torniamo al partito: saremmo degli illusi se
pensassimo di essere già al punto di arrivo.
Tanti sono gli strumenti che devono aiutarci a
raggiungere l’obiettivo. Il primo è un maggior coinvolgimento della base. A
livello territoriale l’intenzione espressa nella nostra mozione – una promessa
personale che io e Paolo Savelli vogliamo fortemente mantenere – è un rapporto
più frequente con gli iscritti su tutti i territori. Gambe in spalla, faremo
qualche chilometro venendo periodicamente a trovarvi, a prescindere dalle
campagne elettorali imminenti o in corso.
Da qui, passa anche la necessità di celebrare il
prima possibile anche i congressi comunali, in modo da dare ad ogni territorio
degli interlocutori ufficiali.
Ma non è tutto.
Sappiamo bene che in molti comuni gli ostacoli che
ci separano dal divenire maggioranza non sono pochi, ma siamo convinti che uno
sia lo scarso coinvolgimento della base nella scelta dei candidati. E’ questo
il motivo per cui, raccogliamo con grande entusiasmo la sfida del segretario
Alfano per la svolgimento delle primarie in tutti i comuni che superano i 15000
abitanti.
Si tratta di uno strumento che non può essere lasciato
solo al PD perché celebrare le primarie significa
prima di tutto avere più chance quando si arriva alle secondarie!
Dobbiamo
insomma uscire dalla logica della coltivazione di piccoli orticelli ed entrare,
consentitemi la metafora, in quella dell’aratura dei grandi latifondi.
Il lavoro che sta facendo il governo Monti per
combattere la crisi è evidentemente fermo a metà del guado. Il riequilibrio dei
conti, non ha ancora trovato un adeguato bilanciamento con le prospettive di
crescita necessarie per riagguantare la ripresa economica. La sensazione dei
cittadini in questo momento è più quella di essere tartassati che quella di
essere accompagnati verso l’uscita dalla crisi.
A questo, si stanno per aggiungere le stangate dei
comuni. L’IMU che era stata abolita dal governo Berlusconi viene oggi
reintrodotta consentendo alle amministrazioni comunali di modularla sulla base
delle necessità di bilancio. Lo vogliamo dire chiaramente: siamo contrari a
qualunque tentativo di mettere ulteriormente le mani nelle tasche dei cittadini
ed è per questo che stiamo proponendo in tutti i comuni mozioni e ordini del
giorno che chiedono l’applicazione al minimo dell’IMU.
Riteniamo infatti che lo slogan “i servizi non si
toccano” con il quale le amministrazioni di sinistra che governano questo
territorio cercano di indorare la pillola ai cittadini per giustificare
l’aumento delle tasse ed in particolare
di tutte quelle che assomigliano ad una tassa patrimoniale, non sia spesso
altro che un espediente per non apportare i tagli laddove sono necessari, per
continuare a finanziare carrozzoni inutili coi nostri soldi, per continuare
spesso a far svolgere al pubblico il mestiere di imprenditore in settori dove
il pubblico fa concorrenza al privato.
E’ su questi argomenti che si misura, nonostante
la parentesi del governo tecnico, la vera differenza fra noi e loro.
Cari amici, tenere viva l’attenzione dell’opinione
pubblica su questi temi, checchè ne dica qualcuno, non significa né fare della
macelleria sociale, né abdicare a un liberismo economico di maniera. Significa
piuttosto avere una visione diversa e moderna del governo della cosa pubblica.
La nostra provincia ha bisogno di nuovi volti,
nuovi linguaggi, nuovi metodi. Tuttavia non si può pensare che gli elettori
lascino la strada vecchia per la nuova senza un progetto concreto, preciso e di
ampio respiro che vada oltre i tradizionali “no” che vengono normalmente
dall’opposizione. I cittadini, in parole povere, ci chiedono di spiegar loro la
nostra visione diversa.
Spetta dunque non solo ai dirigenti che oggi
verranno eletti, ma a ciascuno di noi qui presenti, convincerli che un’altra
Ravenna, un’altra Cervia, un’altra Faenza, un’altra Lugo etc etc sono possibili
e che, per quanto le statistiche le disegnino tuttora come città ben vivibili,
le amministrazioni che si sono succedute in questi anni non hanno fatto altro
che governare senza la benché minima lungimiranza, guardandosi bene dal
prendere decisioni coraggiose che permettessero quel salto di qualità
necessario a uscire dalla schiera delle “cittadine di provincia” (infrastrutture materiali e immateriali,
sviluppo del turismo, diminuzione della burocrazia solo per citare alcune delle
esigenze a cui non si è data risposta), oppure risolvendo le questioni
scottanti sempre con compromessi al ribasso e buonismo ipocrita per evitare di
scontentare qualcuno della propria maggioranza e magari di perdere poi un punto
percentuale alle successive elezioni.
Il PDL è e rimane il primo partito d'Italia: anche
qui possiamo diventare maggioranza! Se dimostreremo che ci siamo, che ci
opponiamo con gli argomenti e che abbiamo la credibilità per sostituirli non
appena i cittadini ci daranno la forza per amministrare la nostra terra, gli
elettori non potranno non darci fiducia!
Cari amici,
concludendo, questi sono gli spunti che ho ritenuto di porre alla vostra
attenzione.
So che
quello che ci aspetta è un compito difficile, ambizioso, necessario.
Un compito
che ci deve trovare tutti uniti e decisi per realizzare un sogno.
Quel sogno
per il quale se è caduta Bologna, se è caduta Prato, se è caduta Mantova,
possono cadere anche le città della nostra provincia.
Lo dobbiamo
prima di tutto al nostro futuro, e lo dobbiamo anche a tutti coloro che hanno
sempre combattuto nel corso degli anni prima il partito comunista poi tutti i
partiti che cambiando nome non cambiavano stranamente i loro rappresentanti e
spesso neppure le loro sedi, anche prima del 94.
Lo dobbiamo
inoltre a tutti coloro che in questa terra difficile non temono di votare per
noi, ma preferiscono che non si sappia.
Bè, noi
lottiamo e continueremo a lottare anche per loro.
Viva
l’Italia, Viva la provincia di Ravenna, Viva il Popolo della Libertà, Viva la
Libertà!. Alberto Ancarani
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