RESETTIAMOLO PURE IL PDL, MA IN NOME
DI CHE COSA?
In questi giorni, il Pdl sta celebrando diversi congressi provinciali: i
primi dalla sua fondazione. E ciò va accolto con estremo favore: la democrazia,
anche all’interno di un partito, è sempre cosa buona e giusta (per dirla alla
Catalano). Tuttavia, ciò che sembra del tutto assente in queste assise è un
dibattito serio ed approfondito sull’identità da conferire al partito, sul
progetto che si vuole portare avanti, sulla idea di società di cui ci si
intende fare promotori. Aspetti nient’affatto secondari e che, anzi, dovrebbero
essere alla base di qualunque discussione politica, degna di questo nome,
essendone il sale, e da cui nemmeno la scelta di un segretario provinciale
dovrebbe mai prescindere. D’altra parte, se in un congresso si appoggia Tizio,
anziché Caio, per ragioni diverse dalla condivisione delle sue posizioni, vuol
dire che lo si fa semplicemente per interesse: perché si pensa di ricavarne
poltrone, cariche ecc. ecc.. E se la politica si riduce a questo, soprattutto
in una fase in cui l’antipolitica gode di grande popolarità, si scava la fossa
da sola. Il
ceto dirigente del Pdl, a qualunque livello, se vuole
sopravvivere, ha il dovere di affrontare il tema del profilo identitario del
partito. E per due ragioni: 1) perché in questa legislatura ha dato pessima
prova di sé, governando male il Paese come mai aveva fatto prima, e compiendo
scelte contrarie ai valori di cui, si era sempre dichiarato strenuo difensore
dimostrando, con ciò, di non avere alle spalle una solida ed univoca cultura
politica di riferimento, un ancoraggio ideologico