venerdì 25 maggio 2012

MEMORIA CORTA: SINISTRA E REPUBBLICA DAVANO DEL ”GUITTO” AL GIUDICE FALCONE……


NEL GENNAIO 1992 UN ARTICOLO DI REPUBBLICA MASSACRO’  FALCONE. “UN COMICO DEL CARROZZONE TELEVISIVO, UN GUITTO”. OGGI DI QUELL’ARTICOLO NON C’E’ PIU’ TRACCIA.
Oggi, per la sinistra tutta, è «l’amico Giovanni». Perché, per dirla con De André, «ora che è morto la patria si gloria di un altro eroe alla memoria». Ma quando l’eroe Falcone era vivo, quando aveva bisogno di sostegno, perché «si muore generalmente perché si è soli», disse lui stesso, profeticamente, nel libro intervista a Marcelle Padovani Cose di Cosa nostra, altro che elogi, altro Oggi, per la sinistra tutta, è «l’amico Giovanni». Da Repubblica all’Unità, dal Pci alla Rete del redivivo neo sindaco Idv di Palermo Leoluca Orlando, persino qualche toga rossa di Magistratura democratica, tutto un coro: dalli a Falcone, tutti contro. La colpa, anzi le colpe? Diverse - dall’incriminazione per calunnia del pentito Giuseppe Pellegriti che accusò Salvo Lima, alla scelta di andare a Roma, al fianco dell’allora ministro di Giustizia Claudio Martelli, a dirigere gli Affari penali- riconducibili però a un unico peccato originale: l’essere, Giovanni Falcone, un magistrato tutto d’un pezzo, che non si lasciava influenzare da politica e umori di piazza, e che soprattutto, ai teoremi tanto cari a sinistra, preferiva una regola, così sintetizzata ancora in Cose di Cosa nostra : «Perseguire qualcuno per un delitto senza disporre di elementi irrefutabili a sostegno della sua colpevolezza significa fare un pessimo servizio». Fare memoria, nell’anniversario della strage di quel maledetto sabato di 20 anni fa, è anche questo. Perché è facile, potenza della tv, ricordare Orlando che accusò Falcone di «tenere le carte nei cassetti» (accusa costata all’«amico Giovanni» di oggi un procedimento davanti al Csm), o il «Giovanni, non mi piaci nel Palazzo» di un altro retino doc dell’epoca, l’avvocato Alfredo Galasso, durante una storica staffetta televisiva antimafia, a un mese dall’uccisione di Libero Grassi, tra Maurizio Costanzo e Michele Santoro, a settembre del 1991. Ma pochi forse ricordano un articolo firmato dal blasonato Sandro Viola



pubblicato il 9 gennaio del 1992 da Repubblica e adesso prudentemente rimosso dal sito internet del quotidiano di Ezio Mauro.  «Falcone che peccato...», il titolo. Che non rende appieno l’attacco, durissimo, al magistrato che quattro mesi dopo sarebbe stato ammazzato sull’autostrada, a Capaci. «Da qualche tempo – scrive Viola nell’editoriale–sta diventando difficile guardare al giudice Falcone col rispetto che s’era guadagnato.Egli è stato preso infatti da una febbre di presenzialismo. Sembra dominato da quell’impulso irrefrenabile a parlare che oggi rappresenta il più indecente dei vizi nazionali». Viola si chiede «come mai un valoroso magistrato desideri essere un mediocre pubblicista». E attacca proprio Cose di cosa nostra , diventato dopo le stragi del ’92 una sorta di testamento morale di Falcone. «Scorrendo il libro- intervista – scrive ancora l’editorialista – s’avverte l’eruzione d’una vanità, d’una spinta a descriversi, a celebrarsi, come se ne colgono nelle interviste del ministro De Michelis o dei guitti televisivi». Non che Repubblica non fosse in buona compagnia, quanto a “sinistri” attacchi. PaoloBorsellino, vittima anche lui (57 giorni dopo Capaci, il 19 luglio del ’92) di quell’estate di sangue,diceva che l’«amico Giovanni » (stavolta sì che la familiarità è autentica), aveva cominciato a morire quando il fuoco amico dei colleghi gli aveva sbarrato la strada nel 1988, alla nomina a procuratore capo di Palermo.
Fu Md- tra le toghe di sinistra si distinse Elena Paciotti, poi europarlamentare Pd- a guidare la crociata contro Falcone. E sempre il fuoco amico di sinistra e colleghi di sinistra sbarrò a Falcone, poco prima di morire, la strada alla nomina alla guida della neonata Direzione nazionale antimafia. «Falcone superprocuratore? Non può farlo, vi dico perché», tuonarono i compagni sull’Unità . Il tritolo di Capaci, poi, fece il resto. Quanti attacchi, quante amarezze da sinistra per l’«amico Giovanni».
Attacchi che non si spengono, neanche dopo 20 anni. Al neo sindaco Leoluca Orlando- fu lui, da sindaco, a sposare nel 1986 Giovanni Falcone e Francesca Morvillo - Maria Falcone, la sorella del magistrato ucciso, ha mandato a dire, oggi: «Dica quattro parole: “Con Falcone ho sbagliato”».
Ma da Orlando è arrivato il niet: «Esprimo il mio rammarico umano per quell’incomprensione. Ma ribadisco che il compito del politico è diverso da quello del magistrato». L’«amico Giovanni» non merita scuse. Neanche da morto. Di Maria Teresa Conti il Giornale


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