NEL GENNAIO 1992 UN ARTICOLO DI
REPUBBLICA MASSACRO’ FALCONE. “UN COMICO
DEL CARROZZONE TELEVISIVO, UN GUITTO”. OGGI DI QUELL’ARTICOLO NON C’E’ PIU’
TRACCIA.
Oggi, per la sinistra tutta, è
«l’amico Giovanni». Perché, per dirla con De André, «ora che è morto la patria
si gloria di un altro eroe alla memoria». Ma quando l’eroe Falcone era vivo,
quando aveva bisogno di sostegno, perché «si muore generalmente perché si è
soli», disse lui stesso, profeticamente, nel libro intervista a Marcelle
Padovani Cose di Cosa nostra, altro che elogi, altro Oggi, per la
sinistra tutta, è «l’amico Giovanni». Da Repubblica all’Unità, dal Pci alla Rete del redivivo neo sindaco Idv di Palermo
Leoluca Orlando, persino qualche toga rossa di Magistratura democratica,
tutto un coro: dalli a Falcone, tutti contro. La colpa, anzi le colpe? Diverse
- dall’incriminazione per calunnia del pentito Giuseppe Pellegriti che accusò
Salvo Lima, alla scelta di andare a Roma, al fianco dell’allora ministro di
Giustizia Claudio Martelli, a dirigere gli Affari penali- riconducibili però a
un unico peccato originale: l’essere, Giovanni Falcone, un magistrato tutto
d’un pezzo, che non si lasciava influenzare da politica e umori di piazza, e
che soprattutto, ai teoremi tanto cari a sinistra, preferiva una regola, così
sintetizzata ancora in Cose di Cosa
nostra : «Perseguire qualcuno per un delitto senza disporre di elementi
irrefutabili a sostegno della sua colpevolezza significa fare un pessimo
servizio». Fare memoria, nell’anniversario della strage di quel maledetto
sabato di 20 anni fa, è anche questo. Perché è facile, potenza della tv,
ricordare Orlando che accusò Falcone di «tenere le carte nei cassetti» (accusa
costata all’«amico Giovanni» di oggi un procedimento davanti al Csm), o il
«Giovanni, non mi piaci nel Palazzo» di un altro retino doc dell’epoca,
l’avvocato Alfredo Galasso, durante una storica staffetta televisiva antimafia,
a un mese dall’uccisione di Libero Grassi, tra Maurizio Costanzo e Michele
Santoro, a settembre del 1991. Ma pochi forse ricordano un articolo firmato dal
blasonato Sandro Viola
pubblicato
il 9 gennaio del 1992 da Repubblica e adesso prudentemente rimosso dal sito
internet del quotidiano di Ezio Mauro. «Falcone
che peccato...», il titolo. Che non rende appieno l’attacco, durissimo, al magistrato
che quattro mesi dopo sarebbe stato ammazzato sull’autostrada, a Capaci. «Da
qualche tempo – scrive Viola nell’editoriale–sta diventando difficile guardare
al giudice Falcone col rispetto che s’era guadagnato.Egli è stato preso infatti
da una febbre di presenzialismo. Sembra dominato da quell’impulso irrefrenabile
a parlare che oggi rappresenta il più indecente dei vizi nazionali». Viola si
chiede «come mai un valoroso magistrato desideri essere un mediocre
pubblicista». E attacca proprio Cose di cosa nostra , diventato dopo le stragi
del ’92 una sorta di testamento morale di Falcone. «Scorrendo il libro-
intervista – scrive ancora l’editorialista – s’avverte l’eruzione d’una vanità,
d’una spinta a descriversi, a celebrarsi, come se ne colgono nelle interviste
del ministro De Michelis o dei guitti televisivi». Non che Repubblica non fosse
in buona compagnia, quanto a “sinistri” attacchi. PaoloBorsellino, vittima
anche lui (57 giorni dopo Capaci, il 19 luglio del ’92) di quell’estate di
sangue,diceva che l’«amico Giovanni » (stavolta sì che la familiarità è
autentica), aveva cominciato a morire quando il fuoco amico dei colleghi gli
aveva sbarrato la strada nel 1988, alla nomina a procuratore capo di Palermo.
Fu Md- tra le toghe di sinistra si distinse Elena
Paciotti, poi europarlamentare Pd- a guidare la crociata contro Falcone. E
sempre il fuoco amico di sinistra e colleghi di sinistra sbarrò a Falcone, poco
prima di morire, la strada alla nomina alla guida della neonata Direzione
nazionale antimafia. «Falcone superprocuratore? Non può farlo, vi dico perché»,
tuonarono i compagni sull’Unità . Il tritolo di Capaci, poi, fece il resto.
Quanti attacchi, quante amarezze da sinistra per l’«amico Giovanni».
Attacchi che non si spengono, neanche dopo 20 anni. Al
neo sindaco Leoluca Orlando- fu lui, da sindaco, a sposare nel 1986 Giovanni
Falcone e Francesca Morvillo - Maria Falcone, la sorella del magistrato ucciso,
ha mandato a dire, oggi: «Dica quattro parole: “Con Falcone ho sbagliato”».
Ma da Orlando è arrivato il niet:
«Esprimo il mio rammarico umano per quell’incomprensione. Ma ribadisco che il
compito del politico è diverso da quello del magistrato». L’«amico Giovanni»
non merita scuse. Neanche da morto. Di Maria Teresa Conti il Giornale
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