Saviano
al posto di Bocca. Uno che non ha mai detto nulla di
interessante, che non ha un’idea in croce, che scrive male e banale, che parla
come una macchinetta sputasentenze, che brancola nel buio di un generico
civismo, che è stato assemblato come una zuppa di pesce retorico a partire da
un romanzo di successo, si prende la rubrica di un tipo tosto che di cose da
dire ne aveva fin troppe. Saviano a La7 per tre giorni con l’auricolare di
Serra e la bonomia un po’ spenta di Fazio, un rimasuglio di tv
dell’indignazione, una celebrazione di quella cazzata che è l’evento, il tutto
destinato a sicuro successo di critica e di pubblico: il nulla intorno alle
parole, ridotte barbaramente al nulla dell’ideologia, e tutt’intorno un uso
cinico della condiscendenza verso il piccolo talento dell’ordinario. Saviano a
New York, come un brand scassato alla ricerca della mafia già scoperta da Puzo,
Coppola e Scorsese, una specie di Lapo in cerca di marketing sulle orme di
Zuccotti Park, tranne che Lapo fa il suo mestieraccio. Saviano in ogni appello,
dalla lotta al traffico di cocaina ai diritti dei gay a chissà cos’altro
ancora. Saviano sul giornale stylish del mio amico Christian Rocca, perfino. Ma
che palle. L’ho ascoltato al Palasharp, un anno e mezzo fa, via web. Un
disastro incolore. Uno fuori posto perfino in un luogo in cui si faceva
mercimonio delle idee peggiori della società italiana. Non riusciva ad aderire,
malgrado la buona volontà, nemmeno alla semplificazione moralista della
politica nella sua forma estrema di faziosità e di odio teologico-politico.
Saviano non sa fare niente e va su tutto, è di un grigiore penoso, e i
madonnari che lo portano in processione dalla mattina alla sera gli hanno fatto
un danno umano, civile,
culturale e professionale quasi
bestiale. Credo che le premesse fossero genuine, è l’esplosione che si è
rivelata di un’atroce fumosità. Già non è dotato, ma poi mettergli in mano una
specie di scettro da maghetto della popolarità e della significatività di sinistra
o de sinistra, insignirlo di una strana laurea da rive gauche all’italiana, il
caffè intellettuale dei mentecatti, chiedergli di pronunciarsi su tutto e su
tutti come l’oracolo, di fungere da uomo-simbolo, lui che del simbolico ha
appena la scorta, questo è veramente troppo.
I Moccia
e i Fabio Volo hanno scritto anche loro libri di successo. E’ un
guaio che ti può capitare, una brutta malattia come il premio Nobel e altre
scemenze. Un giorno o l’altro qualcuno te le commina, se sei veramente sfortunato,
e c’è chi sbava nell’attesa. Ma nessuno li ha trasformati in totem, non si
prestavano, non erano all’altezza. Saviano invece è all’altezza di questa
mondializzazione del banale, di questa spaventosa irriverenza verso l’allegria
e l’eccentricità dell’intelletto come nutrimento della società e della vita, di
questa orgia del progressismo finto sexy, il torello triste che combatte la sua
corrida in compagnia di milioni di consumatori culturali e di utenti
dell’indicibilmente e sinistramente comune, medio. Siamo il paese di Wilcock,
di Flaiano, di Cesaretto, di Manganelli e a parte lo spirito d’avanguardia e di
letizia della scrittura, abbondano grandi maestri, filologi, scrittori anche
civili che qualcosa da dire ce l’hanno, in trattoria e sui giornali e in tv, e
siamo stati trasformati nel paese dei balocchi dei festival e delle seriali
conferenze culturali dedicate al libro, al bestseller che ti cambia la vita
come una nuova religione e ti immette nel mainstream più compiacente e
belinaro. Ma via. Qualcuno deve pur dirlo. Facciamo un comitato, qualcosa di
sapido e di cattivo, qualcosa di rivoltoso e di ribaldo. Basta con Saviano. ©
- FOGLIO QUOTIDIANO
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