DA IL RESTO DEL CARLINO 22.7.10
Ha ospitato tanti 'big': da Pajetta, a Berlinguer, a Bersani. Ma sorge su area demaniale vincolata e va demolita. Perso ricorso al Tar contro il Comune. Si va al Consiglio di Stato
Ravenna, 22luglio 2010 - UN PEZZO di storia della sinistra ravennate rischia di essere raso al suolo. Chi ha militato nel Pci di Ravenna conosce bene il capanno da pesca di Porto Fuori, sulla riva sinistra dei Fiumi Uniti, tradizionale punto di ritrovo – fin dagli anni Sessanta – per l’apparato di partito e i militanti. Un luogo dove, tra una grigliata di carne e una di pesce, si discutevano le linee guide della politica locale, e magari si incontravano, in un clima conviviale, i leader nazionali, da Pajetta e Berlinguer a D’Alema e Bersani. Ma la costruzione — secondo il Comune, e anche secondo una sentenza del Tar — è abusiva: sorge infatti su un’area demaniale vincolata, e non ha mai ottenuto la licenza edilizia. Oggi a risultare proprietaria della ‘dacia’ sui Fiumi Uniti è la Federazione provinciale dei Democratici di sinistra (sì, esiste ancora, e gestisce proprietà immobiliari), che l’ha ereditata dalla Immobiliare Crocevia srl, una delle ‘casseforti’ del partito. Le vicissitudini amministrative e giudiziarie iniziano a metà degli anni Ottanta. Il capanno era stato costruito prima del 1967, quando non era ancora previsto il rilascio della licenza edilizia da parte del Comune: solo dal 1978, infatti — per effetto di una legge regionale — l’amministrazione comunale è l’autorità preposta alla tutela del vincolo ambientale. Nel 1986 (il sindaco è Giordano Angelini), la società proprietaria, «per avere maggiore sicurezza sulla condizione giuridica dell’immobile», presenta al Comune una richiesta di sanatoria, che resta ferma in qualche ufficio per nove anni: è il 1995 quando l’amministrazione, allora guidata da Pier Paolo D’Attorre, respinge l’istanza, su indicazione della Commissione edilizia. Crocevia ricorre al Tar, che nell’aprile dell’anno scorso (14 anni dopo) le dà torto. Lo scorso maggio il Partito democratico della sinistra — che nel frattempo ha acquisito il capanno — ricorre in appello al Consiglio di Stato, e il Comune, con una delibera della quale è relatore l’assessore Matteo Casadio, si costituisce come resistente. «Se anche il secondo grado ci darà ragione – spiega Casadio – il capanno dovrà essere rimosso».
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