Titoloni, proclami, note dettate alle agenzie in fretta e furia. Standard&Poor’s, l’agenzia di rating che un mese e mezzo fa era riuscita nell’impresa di sbagliare i calcoli matematici sui conti americani, ha declassato l’Italia. Era nell’aria, lo si sapeva, c’era ben poco da fare. Subito le opposizioni hanno alzato la voce, indignate e sconvolte per l’infausta notizia. E’ tutto un coro unanime nel chiedere, nell’esigere le dimissioni di Silvio Berlusconi, colpevole di aver indotto S&P a tagliare il nostro rating. Sì, il Premier assassino dell’Italia, uomo che ci sta facendo precipitare nelle torbide acque del default. Finiremo come la Grecia!, urlano i Bersani e i Belisario della situazione.Se si conservasse un po’ di memoria, come ha fatto Ignazio Stagno sul Giornale, probabilmente si eviterebbe di alzare troppo la voce e di urlare al fallimento, nonché di accusare il Governo (che le sue colpe le ha, vista la manovra che qui più volte abbiamo contestato) per tutto il male del Mondo. Sì, perché nell’ottobre del 2006, quando a Palazzo Chigi sedeva Romano Prodi, Standard&Poor’s e Fitch fecero esattamente la stessa cosa che oggi ha fatto S&P: ci declassarono. Allora, però, Mortadella sentenziò che “i prossimi giudizi, quelli cioè che terranno conto delle politiche economiche di questo governo e non di come il Paese è stato lasciato dal precedente, vedranno registrare un segno positivo”.Insomma, anche quella volta la colpa era tutta di Berlusconi che però, essendo all’opposizione, non poteva dimettersi. Finocchiaro e Bersani, Di Pietro e Belisario, in quell’ottobre di cinque anni fa, non aprirono bocca, non accusarono Prodi e Padoa Schioppa di portarci verso il default né di essere scarsamente credibili sul piano internazionali. Colpa di Berlusconi, dissero all’unisono.Eppure, andando a leggere la nota che giustificò il declassamento, si scopre che “la riduzione del rating sull’Italia riflette la risposta inadeguata del nuovo governo alle sfide strutturali dell’economia e del bilancio dell’Italia. La Finanziaria fa poco per avanzare significativamente sulla strada di riforme sul lato dell’offerta e nei fatti porterà ad un aumento netto della spesa in percentuale del PIL invece di ridurre l’alta spesa, che è la causa di fondo degli squilibri di bilancio italiani”.Più chiaro di così, non si può. Ma fare orecchi da mercanti, tra gli alti esponenti della sinistra, è una consuetudine assodata.
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