C’è una ragione “politica” che giustifica la decisione di Gianfranco Fini, reiterata l’altro dì a Mirabello di non abbandonare la carica di Presidente della Camera per assumere in prima persona la guida di Futuro e libertà? Il timore di perdere una posizione istituzionale che gli garantisce, autorevolezza e visibilità (oltre ad alcuni non trascurabili benefici materiali). Altri hanno sostenuto che a costringerlo in quel ruolo, è il Capo dello Stato, che di lui si fida e molto meno si fiderebbe di un uomo che giungesse alla guida di Montecitorio su mandato di Berlusconi. La ragione a ben vedere esiste, essa consiste nel fatto che Fini per primo, non crede nell’utilità strategica del partito affidato alle cure e alle ambizioni di Italo Bocchino. Futuro e libertà per Fini è, un partito “a tempo” o se si vuole a scadenza. E’ nato, come bacino di contenimento all’indomani della perduta battaglia parlamentare con il Cavaliere; dunque per offrire un minimo di agibilità politica a coloro che generosamente sono rimasti al fianco di Fini anche all’indomani del fallito assalto del 14 dicembre 2010. Nella testa del Presidente della Camera – che nel discorso di Mirabello, ha derubricato Futuro e libertà da partito organizzato a movimento di idee – nell’attesa che il “regno di Berlusconi” cada davvero, ciò che serve non è una struttura radicata sul territorio, ma una sigla di comodo, che assicuri la sopravvivenza sino a che quel giorno fatale sarà arrivato.
L’idea che dal giorno seguente alla caduta o scomparsa di Berlusconi i giochi si riapriranno e tutto diverrà possibile, non è in effetti del solo Fini, ma di un pezzo consistente della nostra classe politica. Nessuno ama pensare che venendo meno il Cavaliere venga contestualmente meno un intero assetto politico-istituzionale. Difficile dire se si tratti di una valutazione minimamente fondata o di un abbaglio collettivo che rischia di essere pagato a caro prezzo da chi lo coltiva. Quel che conta è che un tale convincimento sembra stare alla base della scelta di Fini di farsi un partito (ovvero una sigla con la quale rendersi riconoscibile nel dibattito politico), ma di non assumerne direttamente la guida. Perché mettersi al vertice di una formazione destinata a sparire un attimo dopo che il “nemico pubblico” numero uno non sarà più tale? La vera partita di Fini non si gioca oggi, attraverso un partito che, sondaggi alla mano, vale al massimo il 3% dei consensi, ma in un domani imprevedibile e tutto da inventare, all’interno del quale Futuro e libertà, non avrà alcun ruolo da svolgere e si risolverà in poco più che un ricordo. E come nel passaggio da un assetto partitico-istituzionale all’altro, tra il 1992 e il 1994, a Fini riuscì d’inserirsi nella dialettica politica con un ruolo da protagonista, lo stesso potrebbe accadere nel caso di un nuovo crollo di sistema. Ciò che meritava di essere spiegato è perché Fini, si tiene cosi stretta la poltrona di Presidente della Camera e lascia ad altri la conduzione politico-organizzativa di Futuro e libertà. La ragione s’è detta ed è molto semplice: perché il partito che deciderà del suo eventuale futuro politico non è quello che si è riunito domenica scorsa a Mirabello.
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