Il governo italiano ha colto ieri un altro eclatante successo a livello europeo: il Consiglio dei capi di stato e di governo della Ue, ha accolto la nostra richiesta di introdurre nelle nuove regole di finanza pubblica comunitaria il concetto di debito “allargato”, o meglio sostenibile.
La richiesta è stata avanzata come ultimativa da Berlusconi, e nei giorni scorsi era stato il ministro degli Esteri Frattini a dichiarare che senza il suo accoglimento l’Italia avrebbe posto il veto ad ogni iniziativa. Non ce n’è stato bisogno: prima la Germania poi tutti gli altri paesi ci hanno dato ragione.
Vediamo dunque di che cosa stiamo parlando.
- Finora il primo criterio di valutazione sulla solidità di un paese era il suo debito pubblico in rapporto al Pil, cioè alla ricchezza prodotta ogni anno. Su questa base si sono attribuite le pagelle, i rating che a loro volta condizionano le emissioni di titoli di Stato, ed in generale gli umori dei mercati.
- Con la Grecia (che ha truccato i conti), ma soprattutto con Spagna, Portogallo e Irlanda, tutti paesi con debiti pubblici inferiori al nostro, si è visto che quel criterio non funziona più. Difatti la speculazione ha preso di mira proprio loro.
- Si è così deciso di inglobare nel concetto di debito anche quello delle famiglie e delle imprese, secondo una filosofia che ha sempre contraddistinto il centrodestra. L’Italia ha un elevato debito pubblico ereditato dal passato, ma le nostre famiglie sono virtuose e risparmiose, e così le imprese manifatturiere che costituiscono la spina dorsale del sistema produttivo.
- Le statistiche approvate ieri dall’Unione europea indicano per l’Italia il debito delle famiglie pari al 39,3% del Pil, il più basso d’Europa. è il risultato della differenza tra risparmi e mutui. E quanto alle imprese, non finanziarie abbiamo un debito del 79,9%, più alto solo di quello tedesco (ci sarebbe anche la Grecia, che però fa storia a sé).
- Risultato. Mentre nella vecchia graduatoria l’Italia risultava al primo posto per il solo debito della pubblica amministrazione, con il nuovo criterio siamo sesti nella Ue, dietro a Germania, Austria, Finlandia, Grecia e Francia. Non tenendo conto della Grecia – paese a rischio fallimento e di fatto commissariato dall’Europa e dal Fondo monetario – siamo quinti, nel gruppo di testa continentale. Veniamo dunque prima di Svezia, Olanda e Gran Bretagna, senza contare la Spagna, l’Irlanda ed il Portogallo.
- Scontiamo i vizi della pubblica amministrazione, mentre ci fregiamo delle virtù delle famiglie e delle imprese: è esattamente la teoria e la pratica del centrodestra. Ma è anche la smentita della linea attuata in tutti questi anni e decenni dalla sinistra, che ha sempre gonfiato la spesa pubblica tassando le aziende e le famiglie. “Tassa e spendi”, appunto.
- Non solo. Mai la sinistra aveva concepito di imporre in sede europea, minacciando il veto, una riclassificazione di questo tipo, che pure va a nostro beneficio. Era contrario alla sua mentalità statalista e favorevole alla spesa pubblica, ed ostile al settore privato. Ed era anche frutto della sua tradizionale sudditanza ai paesi forti dell’Europa, Germania e Francia in testa.
Prima conclusione. Non solo la dottrina liberale italiana era giusta, ma provvidenziale è stata la condotta del Governo in sede europea. L’Italia esce definitivamente dal novero dei paesi poco virtuosi (anche se abbiamo il fardello della spesa pubblica, che il governo ridurrà); ne beneficeranno i nostri titoli, i nostri risparmi, i flussi d’investimento per le aziende, e quindi il lavoro.
Seconda conclusione: con la sinistra al governo non avremmo avuto nulla di tutto questo. Anzi, avremmo avuto l’esatto contrario, ed oggi saremmo in guai seri.
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