Forse era meglio abolirle
tutte, le province, perché il riordino targato Monti è destinato a lasciare uno
strascico di polemiche e di ricorsi alla Corte costituzionale, che peraltro
oggi si riunisce per esaminare quelli presentati da diverse regioni contro il
decreto di luglio che declassava le province - organi previsti dalla Costituzione
anche dopo la riforma del Titolo V - a enti di secondo livello. Il problema è che il governo alla fine ha
ascoltato solo i suggerimenti di alcuni dirigenti del Pd, come nel caso delle
città metropolitane, per le quali - guarda caso - è stata parzialmente superata
la norma che aveva previsto la coincidenza del loro territorio con quelli delle
province contestualmente soppresse. Per fare un solo esempio, nella rossa
Toscana il governatore Rossi ha visto riconosciuta la richiesta di dividere la
regione in tre aree vaste, cosa che era espressamente vietata dal decreto
originario. Intendiamoci: il fatto che
si sia passati dalle attuali 86 province a 51 è un fatto positivo, ma il taglio
"tecnico" è stato condizionato da ingerenze politiche a senso unico
che renderanno inevitabilmente difficile il passaggio parlamentare. A meno che
l'esecutivo non decida di porre l'ennesima questione di fiducia. E non si
tratta di salvare poltrone, come l'opinione pubblica è portata a credere dalla
crescente campagna di disinformazione in atto, perché chi sarà eletto nei nuovi
consigli provinciali non prenderà più nemmeno un euro. Il problema è invece
quello di salvaguardare l'identità dei territori, che non può essere violata a
colpi di spending review. Per spiegarci
meglio: il governo avrebbe potuto ottenere uguali risparmi con un maggior grado
di consenso se solo avesse avviato una consultazione seria e scrupolosa dei
livelli locali. Il vero risparmio, poi, verrà dal taglio di metà degli Uffici
territoriali dello Stato - prefetture e questure in primis - e anche in questo
caso il Parlamento dovrà evitare che si proceda con l'accetta basandosi su
criteri esclusivamente numerici, perché in gioco c'è un bene primario come la
sicurezza dei cittadini. La spending
review ha già imposto un taglio, in soli quattro mesi, di 500 milioni di euro
alle province obbligandole a una riduzione dei bilanci di oltre il 26%. Con
numeri di questa portata è evidente che non si tratta più di andare a rivedere
la spesa improduttiva, ma di bloccare anche l'ordinaria amministrazione. Di questo passo, le nuove istituzioni che
nasceranno rischiano di non poter nemmeno adempiere alle funzioni fondamentali
loro assegnate, dalla difesa dei territori alla gestione della viabilità, dalla
gestione dell'edilizia scolastica alla tutela dell'ambiente. Stando così le
cose, forse era davvero meglio abolire tutte le province.
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